CHE DIAVOLO CI FAI A VARSAVIA?





Via, quindi si riparte di nuovo.
Ennesima valigia, ennesima sveglia all’alba, ennesimo trucco-parrucco-estetista all’ultimo secondo. Ma del resto fare la fan itinerante (ci tengo a sottolineare che il correttore automatico aveva scritto "fare la fame", secondo me non a caso) dei Placebo è una sorta di secondo lavoro.

Io, che prima delle nove non sono in grado di pronunciare una frase di senso compiuto nemmeno sotto tortura, sono di nuovo costretta di interagire con lo stesso tassista che due settimane fa mi ha quasi fatto perdere il volo per la Danimarca.
Il poverino è anche piuttosto contrito e visibilmente terrorizzato dallo sbagliare di nuovo strada ma per fortuna stavolta va tutto bene: arrivo con largo anticipo in aeroporto, faccio colazione, imbarco il mio bel bagaglio…  Va tutto perfettamente fino a quando non arrivo ai controlli sicurezza e lì mi accorgo di aver fatto la prima stronzata di questo viaggio: MAI, ripeto MAI, partire in aereo con un abito con delle borchie di metallo perché è matematico che, a meno che non improvvisiate uno striptease in pieno aeroporto, vi fermino per un controllo più approfondito.

Comunque dopo una ventina di minuti capiscono che io non sono una terrorista ma soltanto una fan leggermente psicopatica e quindi mi lasciano andare con buona pace del mio cantante: tentativo di scoraggiare una fan numero 234567. Provaci ancora, Brian!
Sull’autobus che ci porta all’aereo mi trovo in mezzo a un gruppo di otto sedicenti quarantenni di origine veneta parecchio chiassosi che, stanno andando a fare un addio al celibato. Sono chiaramente su di giri, hanno evidentemente gli ormoni a 1000 e quando cominciano a parlare di pinze per capezzoli, io capisco che non ce la posso fare. Prego che questi residuati del genere umano abbiano almeno dei posti in fondo all’aereo… Invece no, hanno esattamente i posti di fianco a me! Ne sono estasiata; nemmeno la musica sparata nelle orecchie riesce a coprire i loro cori alpini debitamente modificati in base alle aspettative del weekend. Penso che anche il comandante non ne possa più e infatti arriviamo a Varsavia con 20 minuti buoni di anticipo: prendiamo il lato positivo della situazione.
Sbarchiamo in un lampo, doveva piovere e invece, non dico che c’è sole, ma ci sono delle leggerissime nuvole, fa freddo ma non freddissimo (del resto abituati al clima della Scandinavia, chi ci ferma più). I bagagli arrivano in cinque minuti netti cosa mai successa prima. All’ufficio informazioni fanno anche i biglietti del bus e accettano il pagamento con il bancomat e un biglietto per arrivare alla fermata della venue, che suppongo sia anche abbastanza vicino al mio albergo, costa la bellezza di € 0,50. L’autobus è avveniristico: c’è un pannello in cui si illuminano le fermate a mano a mano che ti avvicini quindi non devo neanche chiedere informazioni a nessuno. Questo paese sta cominciando veramente stupirmi. 
Dopo circa una mezz’ora arrivo a destinazione e ECCE FREGATURAM! Comincio ad avere qualche sospetto quando sono l’unica che scende a questa fermata guadagnandomi degli sguardi compassionevoli da parte non soltanto gli altri passeggeri ma anche dell’autista. Mi guardo intorno e sono in mezzo a una tangenziale. È chiaro che ho sbagliato. Accendo Google Maps e no, non ho sbagliato per niente! La venue è appena fuori dalla tangenziale. Va bene, niente panico. Abbiamo visto concerti in palestre, in distributori bancomat, in supermercati... non so perché dovrei stupirmi. Vagando nel nulla arrivo al semaforo alzo la testa e vedo un palazzetto dello sport bello grande che tutto sommato non è poi così male. mi ringalluzzisco e avanzo baldanzosa verso la meta. Già, peccato che invece il concerto sarà nell’edificio di fronte che non è appena un gradino meno che orrendo. Ovviamente mi avvicino incredibilmente c’è anche un piccolo manifesto esposto per pubblicizzare il concerto di domani anche se chiaramente tutto è sigillato come una scatola di sardine. 


Decido che è ora di arrivare in albergo non immaginando minimamente che per raggiungerlo devo arrampicarmi su una salita per più di 1 km. Avevo appena finito di scrivere le mie compari che faceva freddo e invece arrivo in hotel sudata come se avessi corso la maratona, con il fiatone e di una splendida tonalità bordeaux in viso: per fortuna la fortuna mi assiste e nessuno dello staff stavolta alloggia qui. 

La cosa buona è che ho davanti un pomeriggio intero per andare a vedere un po’ questa città che non conosco affatto. Prima chiaramente devo procurarmi un paio di guanti. L’ennesimo paio di guanti. La città non mi delude e dietro l’angolo mi propone subito un bel Tiger. Ma la vera sorpresa sono i prezzi: un paio di guanti, una scatola di cerotti (di quelle fighe in metallo rosa con i cuoricini rossi) e dei tovaglioli ( sì, ho bisogno di tovaglioli in continuazione e allora?): meno di € 8. La cosa si fa interessante.



Sento il richiamo del mio Chai Tea Latte. Evidentemente sono attirata da Starbucks come le api dal Miele. Due euro e 50. Non ci posso credere. Forse mi trasferirò in Polonia.



Chiaramente tutte le belle fiabe hanno una fine e infatti comincia a piovere. Così decido di visitare il museo Chopin. Be', varrebbe la pena venire a Varsavia solo per fare questa esperienza. Si potrebbe pensare che un museo dedicato a un musicista sia noioso, vecchio e datato invece è una delle strutture più moderne e tecnologicamente avanzate che io abbia mai visto. Il biglietto costa la bellezza di € 5 (che per gli standard locali è chiaramente una follia, ma se rapportato al prezzo dei musei italiani è un’inezia) e ti danno una tessera magnetica che all’inizio non riesco a capire bene che cosa serva e anzi mi sembra un po’ uno spreco fare un biglietto di questo tipo. Invece scopro che attivando questo biglietto hai accesso a una infinita serie di attività interattive. In più è tutto nella tua lingua perché quando hanno fatto il biglietto che hanno chiesto da dove venivi. Puoi chiuderti in delle teche di vetro e ascoltare la produzione Chopin divisa per temi. Le sale sono luminose non sovraffollate di oggetti e basta sfiorare un pulsante rosso con il proprio biglietto per attivare racconti e musiche. E in una stanza c’è anche il twister. Sì, proprio come il gioco! Saltellando sui cerchi si attivano musiche diverse che si mescolano fra di loro, si alzano e si abbassano a seconda di come ci si muove. A un certo punto, purtroppo devo anche uscire (ah, il guardaroba è naturalmente gratuito) e fuori continua a piovere. 





Nonostante questo, decido di dirigermi nella parte del castello. La piazza è bellissima e stanno cominciando ad addobbare gli alberi con le luci di natale.







Questa città non cessa di stupirmi: ci sono addirittura spillatori di birra self-service nei vicoletti. 


E se avevo ancora qualche dubbio nel momento in cui vedo l’insegna di Bubbleology capisco che Varsavia è una città fortemente sottovalutata.


Ci sono un sacco di ristoranti e tutti invitanti. Sono proprio curiosa di assaggiare la cucina locale. Ho anche fame e non vedo l’ora che arrivi la mia socia per mangiare! Sono quasi vegetariana dico prima di sbranarmi 4 fette di fegato e 2 sardine... 



Solo un appunto: alle 22 scatta la tariffa notturna dei taxi e, va bene tutto, ma non si può centuplicare il prezzo su...

Il riposo notturno non c’è stato perché un folle alle 5 del mattino ha cominciato a bussare a tutte le porte delle stanze. Mi si blocca la doccia e devo chiamare in reception perché l’acqua non si chiude più. La sala della colazione sembra un campo di battaglia sovraffollato con del rancio infimo. Trangugio un caffè e mi incammino verso l’orrida venue. Non c’è nessuno per strada tranne un signore cieco alla fermata di un autobus che appena mi sente arrivare mi arpiona per un braccio e comincia a parlarmi in polacco stretto. Dopo 10 minuti riesco a fermate un pullman e scaricare il folle nelle mani dell’autista. Grazie signore polacco, mi hai fatto perdere giusto quelle 5 postazioni in fila... Non sta cominciando benissimo questa trasferta....

#besttocome



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