Lisbona - 2 maggio

“La società spesso perdona il criminale ma non perdona mai il sognatore.” 

[Oscar Wilde]

(Ovvero di quando, dopo anni, torni sulla scena del crimine sperando quasi in una catarsi inversa e invece ne esci cotta come una zuppa di pollo)



 Io amo follemente Lisbona, l’ho mai detto? E la amo per molteplici motivi:

- si gira a piedi tranquillamente;
- si mangia da Dio;
- costa tutto pochissimo;
- non si capisce una mazza di quello che dicono, ma ti parlano sempre sorridendo (cioè, anche un insulto risulta più gradevole in questo modo);
- la luce si riflette sulle azulejos che ricoprono le case, tanto che sembra di camminare sul pavimento del cielo.
In più, finalmente, fa caldo! Non sono più costretta a indossare maglia della salute, maglione di lana, giubbotto, poncho pesante e impermeabile da netturbino e già questa è una notizia che mi riempie il cuore di gioia. Arrivo in città all’ora di pranzo: questa data voglio farmela con calma, in relax. Non mi importa di dove capiterò, andrà bene comunque. Anche perché a Lisbona si compatta tutto (o quasi) lo squadrone italiano, quindi le probabilità di essere vicino a qualcuno che conosco sono piuttosto alte. 

Quando arrivo alla Guest House mi scontro con il primo piccolo intoppo: c’è una rampa di scale da fare e, considerato il fatto che mi trascino dietro da giorni una valigia di 19 kg più una borsa parecchio capiente (io, a differenza del mio cantantino, mi cambio a ogni concerto!), sono presa da un principio di scoramento. Va be’, per una rampa, forse, posso farcela… Arrivo in cima con la lingua di fuori stile bracco italiano dopo una battuta di caccia, con le ginocchia che tremano per il repentino e del tutto sconosciuto afflusso di acido lattico e con le reni in fiamme. Insomma, un’anziana fuori forma accasciata sul bancone. Uno spettacolo davvero edificante. Esattamente l’immagine che ogni serio professionista vorrebbe dare di sé almeno una volta nella vita… In tutto questo, scopro che la camera non è pronta per cui decido di riaffrontare le scale e di andare a dare un’occhiata alla situazione fila. Sulla strada raccatto il primo pezzo del gruppo “vacanze Piemonte a Lisbona”. Mentre passeggiamo tra i tavoli dei miliardi di ristoranti che occupano ogni millimetro quadrato della strada sento una voce: non girarti! Ora, chi di voi a queste parole non si sarebbe girato? È normale, quasi un riflesso incondizionato. E così, sulla sinistra, scorgo i ¾ dei turnisti della band che mangiano al sole. Matt ha i capelli talmente biondi che con questa luce sembra calvo, Nick è chiaramente compresso in una sedia non adatto alla sua stazza e Fiona, per insondabili motivi, alza una mano e mi saluta. È sempre più evidente che questa gente o è molto socievole o è completamente cieca e continua a scambiarmi per qualcun'altra…
Abbozzo un sorriso di circostanza e me ne vado. La fila per il concerto rispecchia la pacatezza del popolo portoghese: credo che il loro motto sia una cosa tipo “PRENDILA SCIALLA” e io, francamente, dopo non so quanti chilometri e mezzi di trasporto, dopo giorni sotto la pioggia battente a Barcellona e Madrid, dopo la febbre, il raffreddore e il mal di gola, dopo il vento gelido di Porto, non posso che sposare questa filosofia.
E poi giusto giusto a due passi dal Coliseu c’è questo ristorante di pesce che, insomma, sarebbe proprio un delitto non provare… Mangiare fuori, al sole, padellatona e birra fresca, con le persone che passano e si fermano a parlare come se fossimo alla sagra del PD di Agrate Brianza: cosa volere di più? Mah, forse arrivare in transenna senza sforzo sarebbe il coronamento perfetto, ma insomma, non si può certo pretendere anche il miracolo! 



Tornata in albergo, comincio a pensare che sia cominciata la fase discendente della giornata: la mia stanza è al terzo piano, in terrazza, senza ascensore… E voi direte: che rammollita, per tre piani di scale tutte queste storie! Sappiate che sono rampe ripidissime con gradini fatti per i piedini dei puffi, che ho sempre la valigia da 19 kg (che per fortuna è già stata sistemata in camera, ma il pensiero di doverla portare giù mi fa venire da vomitare) e che soffro di vertigini e acrofobia (per chi non lo sapesse è la tentazione di lanciarsi nel vuoto non appena mi trovo a più di dieci centimetri da terra).

Quando apro la porta, ho un mancamento. Avete presente le casette delle bambole? Quelle stanzette deliziose, tutte precisine, con le finestre a soffitto e non un granello di polvere a intaccare la vista? Ecco, uguale. Anche nelle dimensioni. Mi sento Biancaneve che entra nella casetta dei 7 nani: per la prima volta in tutta la mia vita devo stare chinata per non sbattere la testa contro al soffitto. Mi sento stranamente gongolante, sensazione che dura solo finché non mi accorgo che fare la doccia sarà un’impresa degna di un contorsionista…

Al momento di uscire le capocciate collezionate sono 8: è chiaro che chi non arriva al metro e sessanta può capirmi… Quando mai vi è capitato di dover stare attenti al soffitto? E giù di testate come se non ci fosse un domani!

Alla venue la situazione fila è stabile, manca poco all’apertura delle porte. Dopo due rampe di scale, una salita, una discesa, un salto della corda e un limbo improvvisato sono dentro, in seconda fila. Benissimo! Poi sento un urlo e qualcuno che mi chiama… Mi sposto con tutta flemma verso la voce e si avvera il miracolo: sono in prima fila, lato Brian, in una posizione perfetta. E la situazione è talmente tranquilla (e surreale) che riesco anche a far entrare altre due persone… EVVIVA!

Con entusiasmo scopro anche di avere ancora in borsa gli occhiali da sole e questo mi consentirà di superare il quinto concerto dei Digital 21 senza perdere definitivamente le retine!

Entra Stef, ed è subito un momento Enzo&Carla: “Ma come ti vesti?” Una canotta… No dico, siamo passati dalle farfalle di Alexander McQueen a una canotta di Tezenis. Poi mi viene in mente che giusto oggi hanno promosso la vendita per beneficenza di vestiti, giubbini, magliette (no, gli slip di Meds non sono in vendita, purtroppo) e quant’altro. L’iniziativa di per sé è lodevole, peccato che non sia specificato il destinatario degli introiti. Posso solo supporre che sia l’associazione Rockband Sfaccendate Che Piuttosto Di Fare Un Nuovo Album Si Vendono Anche Le Bustine Usate Di Tè. Forse il completo con il farfallone è già finito all’asta… In ogni caso, se per caso circoleranno dei video e vedrete la prima fila impegnata in una fitta conversazione sappiate che l’argomento sono i capezzoli di Stef e questo vi può dare anche il peso del tipo di discorsi pre gig della giornata.

L’outfit di Brian invece l’ho quasi azzeccato: camicia con pois sparsi e stivaletto nero stringato. Ammetto di aver toppato i jeans perché un ritorno del pantaculandra non me lo aspettavo proprio: che uomo imprevedibile è il mio cantantino! Ora, io lo so che lo stereotipo della rockstar prevederebbe un consono guardaroba che annoveri tra i capi almeno un gilet indossato a pelle, un giubbino aggressive, dei jeans dal taglio maschile, magari anche una giacca che non sembri quella di flanella di nonno Felice. Ma che il nostro non fosse una rockstar standard lo dovevamo capire già nei begli anni andati quando sfoggiava con grazia magliette di Topolino e kilt, cappotti maculati indecenti e abitini inguinali da bollore istantaneo. Quindi, sì, io apprezzo il look da controllore ATM e quella camicia a pois, dalle maniche larghe e con la riga del ferro di stiro, che troverei ributtante su chiunque, mi sembra perfettamente adeguata. L’unico suggerimento che potrei dargli sarebbe di eliminare la maglina della salute che, oltre a farlo sudare oltre misura, ci disturba la vista in ogni modo possibile. Però ha tagliato i capelli, direi che rispetto alla sera prima la frangia è di almeno 0.5 mm più corta. Sta decisamente meglio!

Stasera sono impeccabili, paiono addirittura più euforici del solito. Brian addirittura ci ricorda che oltre al solito birthday party, si celebra anche il Placebo Day. Sono stupita, pensavo proprio fosse una cosa da fan. Ma del resto, come ho potuto dubitare che Brian fosse il fan numero uno di se stesso? Oppure, semplicemente, è molto più social di quanto vorrebbe farci credere. Sempre ammesso che uno che tiene il ritmo di 8 post nei giorni di pioggia e 4 con il sole si possa definire poco social…

In uno slancio di generosità presenta l’altra metà della band, ossia Stef. Degli altri, chissene… Sono semplici Co.Co.Pro di cui non deve interessare nulla a nessuno: lo spirito della diva deve essergli apparso in sogno stanotte.

Per tacito accordo, ogni volta che Brian ha un eccesso di sexytudine, si cerca di condividere e il momento e stasera è un continuo darsi dentro di gomito. Come strascica la fine delle canzoni lui, nessuno mai. Il LOVE di Loud Like Love è da infarto, su Lazarus schecca talmente tanto che potete chiamarmi Francesco almeno fino al prossimo concerto, la fine di Too Many Friends (rendiamoci conto, Too Many Friends. La canzone più bistrattata di tutta la loro discografia…) segna il confine con la richiesta di ricovero per eccesso di salivazione. Su 20 Years mi salta un acuto e io, novella mamma chioccia, parto in quarta con l’ansia da mal di gola, oddio non sta bene, avete visto che ha saltato anche una pausa sigaretta?, e se annullano i concerti?, avrà preso l’antibiotico giusto? Eh niente, mezzo secondo dopo, parte con un acuto da spaccare i timpani: il re dei trollatori riesce ad agire anche in modo del tutto involontario… e intanto noi qui a sgolarci e a mettere in dubbio anni e anni di studio strillando a pieni polmoni SECOND OF MEIIIIIII, IOR DE CIUF NODDDDDAAAAIII, IAUUUU, AUAI, AUEI, HOLD DE ROM. 

Stasera è anche la serata dei desacamisidos… Un tizio dietro di noi si leva la maglietta e gliela lancia sul palco. Lui la schiva con la lestezza di un mini giaguaro. Nello stesso tempo un tizio in tribuna si esibisce in mosse da derviscio a petto nudo. Devo dire che tra i due (platea: flaccidino, bianchiccio, sudaticcio, molliccio; tribuna: alto, magro, biondastro e senza peli), Brian sceglie i posti a sedere. Misogino forse, ma scemo certamente no. Si diverte, scherza con il tizio, sorride al pubblico come a dire: ma che ci posso fare io se siete tutti un po’ strani? Un ottimo show insomma, per loro e per noi. Mi sento di dire che la massiccia presenza italiana abbia alzato l’entusiasmo, sicuramente ha dato un contributo non indifferente allo scambio ormonale e agli studi sull’ingravidamento a distanza.

Stasera inoltre ho avuto due rivelazioni:
- c’è un pezzo di Infra Red in cui mi ipnotizzo sulle mani di Brian e chi ancora sotiene che siano brutte e cicciotte, be’, peste lo colga!
il mio cantante è corto. E voi direte: be’ non lo sapevi? Certo che lo sapevo. Ma essendo io più corta ancora la cosa non mi ha mai toccato più di tanto. Solo che stasera mi sembrava più corto del solito. Intendiamoci, sempre splendido. Ma più corto. E con un capoccione gigante. Mi ha ricordato una delle Bratz. Avete presente quelle bamboline un po’ mignotte, con la testa enorme, tettute e con le gambette magre magre. Ecco… In particolare ce n’era una con un neo finto che potrebbe tranquillamente chiamarsi Brianna.

 Un consiglio: se siete in transenna, appena il concerto finisce, scappate via più veloci della luce. La folla dietro di voi si trasformerà a breve in un’orda predatoria a caccia di plettri, bacchette, set list e tessuti epiteliali di dubbia natura. A Lisbona è successo l’impensabile: una bacchetta è atterrata sulla testa della mia socia ed è rimbalzata nei miei capelli, incastrandosi. Una tizia me l’ha estratta a forza strappandomi il cuoio capelluto. Non potete capire il dolore! Quindi, scappate, scappate finché potete! 

E ora, per concludere, vi spiego perché questo concerto per me è stato speciale. Il 4 novembre 2014 qui, a Lisbona, in questo stesso Coliseu, ho assistito al mio primo concerto dei Placebo. Qui è cominciato tutto, qui c’è stato l’inizio della fine della mia sanità mentale, dei miei soldi e della mia vita sociale. Ero una quarantenne timida e sperduta, non conoscevo nessuno e mi addormentavo ovunque perché ero in pieno jet lag da New York. Benché li seguissi da anni, mai (a parte un disgraziato e fugace tentativo nel 2003) mi ero azzardata ad andare a un concerto, terrorizzata dal viaggio, dall’essere da sola e da una possibile delusione. Mi ricordo che ero in terza fila lato Stef con altre ragazze italiane, mi ricordo che Brian aveva una maglietta nera, i capelli lunghini messi dietro le orecchie ed era bello come il sole. Mi ricordo che quando è salito sul palco ho avuto un mancamento e ho pensato: “Boia, ma allora esiste davvero!” Con il senno di poi so che quel concerto non è stato un granché, ma per me era meraviglioso. Ho assistito al lancio di sopracciglia, al sollevamento occhi al cielo, alla cazziata con conseguente sparizione di un tecnico delle chitarre (chissà se la famiglia ha riavuto le sue spoglie o sta ancora navigando in una cassa in mezzo all’Oceano…). Ho avuto l’onore di assistere a un concerto con Steve Forrest prima che entrasse ufficialmente a far parte della Setta dei Batteristi Estinti. Ho visto anche Brian uscire dalla venue prima di essere spalmata a terra da un energumeno che gli si è lanciato sul finestrino del van. Insomma, uscii dal quello show totalmente innamorata e, in preda ai sentimenti e agli ormoni, comprai biglietti per Edimburgo, Southend, Londra 1 e 2.


Quello di oggi è stato un esperimento su me stessa: vediamo se assistere a un concerto nello stesso posto ti ha spento un po’ l’entusiasmo, la passione e l’amore. La risposta chiaramente è no. E le conseguenze sono state esattamente identiche al lontano 2014.
#benemanonbenissimo
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LYA!






Commenti

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