Manchester – 11 ottobre

(sor)prendimi

(ovvero di quando il tuo cantante ci mette molto meno dei canonici 3 giorni a resuscitare)



Brevi considerazioni sparse sul dibattito Blackpool/Manchester:
  • ammesso e non concesso che la location di Blackpool aveva risvegliato la parte romantica della sottoscritta che di solito sta ben celata sotto quintali di coperte di ironia e sarcasmo;
  • tralasciando il fatto che la mia prima crush cinematografica è stata per Romy Schneider in Sissi – La giovane imperatrice e già mi vedevo a volteggiare in un abito sontuoso, pieno di trine e stecche di balena, tra le braccia di Molko sulle note di Infra-Red (un giorno scriverò qualcosa sulle mie frequentazioni oniriche molkiane che, come molti sanno, sono indissolubilmente legate a soldi e cibo; l’ultima era la richiesta di una torta alle banane…); 
  • soprassedendo sulla questione paradossale che i biglietti di Blackpool erano gli unici arrivati in tempo
  • cercando di ignorare che Manchester conta circa 504mila abitanti contro i 104mila di Blackpool e questo vuol dire una cosa sola: TOO MANY FANS
Fatte dunque le dovute premesse non posso che ammettere che la venue di Manchester è da O (Oltre le aspettative): una ex chiesa metodista, risalente agli inizi del 900, che profuma di gotico e di barocco. Insomma, una figata! 
Certo, non so esattamente cosa succederà stasera visto le premesse doncastariane, ma in un posto del genere non può succedere niente di brutto! 


E infatti…
Brian entra sul palco vestito di un bel sorriso, e della solita camicina di lino da controllore che probabilmente tra poco imbraccerà in autonomamente la chitarra e canterà: “Fammi andar via, perdonati questa vigliaccheria, fammi andar via, fallo per me, fammi andar via da te...” di baglioniana memoria.

E poi attacca Pure Morning ed è lui. È tornato! Non so per quale miracolo (del resto siamo in una chiesa, evidentemente un po’ di flusso prodigioso è rimasto), non so se è stato attaccato a un aerosol tutta la notte, se si è trangugiato litri di bava di lumache insieme alle lumache stesse per un giusto apporto proteico, se hanno chiamato Gregory House e tutto lo staff di ER e Grey’s anatomy. Fatto sta che quest’uomo, sulla cui voce fino a mezz’ora prima non avrei scommesso una Big Bubble usata, è in grado di cantare. E di farlo bene. 

E sarà l’emozione di trovarsi su un pulpito, sarà l’atmosfera pervasa di sacralità pagana, ma il mio cantante è anche particolarmente ciarliero. 
Dopo aver redarguito il solito Mr. GoPro in incognito, aver notato che gli smartphone continuano a proliferare come conigli e aver interrotto per due volte Jesus’ Son il nostro se ne esce con:
“Ma allora non capite proprio niente eh! Si prospetta una lunga nottata, per me possiamo stare qui anche ore…”
Ecco, Brian, dammi retta, se cercavi parole per dissuadere il pubblico, be’, hai sbagliato frase in pieno… Io certo che ci starei qui tutta la notte! 
Purtroppo l’illusione è la più crudele delle torture e infatti, dopo aver ribattezzato ufficialmente la Albert Hall come una free phone zone e free camera zone, si può riprendere.

Nel complesso è stato un concerto dalla riuscita sicuramente inaspettata. Di seguito alcune riflessioni degne di nota: 
  • chiaramente il mal di gola non è stato debellato del tutto e il raffreddore è testimoniato dal solito box di fazzoletti di carta. Spero fortemente che non sia un attacco lampo di ebola, perché il naso di Brian cola come il formaggio nel tostapane e il rischio di infezione è altissimo. Tenderei a sottolineare che un’influenza è molto in fondo alla lista dei miei desideri, anche se a passarmela è Brian Molko!
  • Nonostante l’evidente malessere, che trova la sua manifestazione più evidente in un cerotto sull’indice della mano sinistra, il nostro è piuttosto felice (probabili benefici collaterali dell’ibuprofene), stordisce di sorrisi il tecnico delle chitarre e perde un numero sconsiderato di plettri.
  • La chiusura di Loud Like Love è caratterizzata da una pausa lunghissima durante la quale anche il microfono pare sia corso a chiedere una tachipirina, mentre il mio cantante decideva di attuare l’ennesima tattica di sterminio di massa sogghignando per tre minuti buoni e lanciando occhiate di difficile interpretazione ovunque. Ora, in questo momento difficile, è piuttosto scontato dare un’occhiata al trucco e… no, non ci siamo proprio. Questa passata di Uni Posca nero sugli occhi e i truccosetti per fare il contouring non si possono francamente vedere. Ho la certezza matematica che anche un qualsiasi addetto alle luci farebbe un lavoro migliore. Io capisco che dispiaccia licenziare una ragazza dopo tanti anni, che magari ci si faccia pure lo scrupolo di capire se potrà poi mantenersi ma, santo Dio, ricollocatela! Per esempio potrebbe occuparsi della newsletter ufficiale: un lavoro dignitoso e poco impegnativo. Oppure potrebbe addestrare degli opossum, in Nuova Zelanda, magari! Insomma qualsiasi cosa che la tenga lontana dalla faccia di Molko e, visti i risultati, anche dalle sue vie respiratorie. 
  • Per ovvi motivi escono dalla scaletta Teenage Angst e 36 Degrees (con immenso e insuperabile dispiacere) ma, a sorpresa, rifà in suo ingresso una Space Monkey in grande spolvero. La cosa più notevole è che Molko canta la prima strofa nudo. Cioè, senza chitarra. Il che è un evento talmente raro che sarebbe più facile veder eruttare un geyser davanti al Duomo di Milano, per intendersi. Inutile dire che approvo la scelta e anzi, la caldeggio per i prossimi show.
  • Alla fine del concerto parlando con il cantante degli Husky Loops, faccio una scoperta agghiacciante: dal palco non si vede una beata mazza. Il pubblico è una massa indistinta nera tranne le prime tre file (meno male, penso) che però sono completamente blu (merda, il blu mi sta da schifo!). Quindi, io ve lo dico, perdere un’ora a truccarsi prima di entrare non ha alcun senso. Alla prossima bigodini, maschera all’argilla e ciabatte! 

Tutto questo naturalmente accadeva prima della disfatta di Reading e Cardiff, prima che un germe di dimensioni apocalittiche aggredisse proditoriamente il mio cantante e prima che la tragicomica gestione Riverman desse il meglio di sé. 
A breve verrà pubblicato un breve saggio (in 34 comode uscite settimanali) dal titolo: Effetto Placebo: 101 modi per peggiorare una situazione difficile. 
Per il momento non resta che attendere 48 ore e sperare di tirare giù la Brixton, preferibilmente non a suon di starnuti. 

To be continued… 

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