"La città di Washington fu costruita su una palude stagnante circa duecento anni fa e quasi nulla è cambiato. Puzzava allora e puzza ancora adesso! Solo che oggi è il fetido odore della corruzione che stagna nell'aria!"

LISA SIMPSON




Il tour americano è giunto al termine e anche io vi lascio con il racconto delle mie ultime date che risalgono al 2 e al 3 di maggio, a Washington. Come tutti sapete la data che sanciva la fine ufficiale del tour americano, a Denver, è stata cancellata poco prima dell’inizio dello spettacolo. Al momento non si hanno notizie riguardo lo stato di salute dei nostri ma se è vero il detto “nessuna nuova, buona nuova”, possiamo sperare nel meglio. Come abbiamo purtroppo avuto modo di constatare dietro ogni cancellazione ci sono stati motivi famigliari e di salute piuttosto seri, quindi mi limito a esortare tutti a non dimenticare che siamo tutti umani, dopo tutto. 

Cose che ho imparato girando per la città:

  • Sulle avenue principali che portano al Campidoglio, all’obelisco e ai vari Smithsonian non c’è nient’altro. Non un bar, un caffè, un Mac… niente di niente. In compenso sono viali interminabili, per cui capite che se avete la vescica di un criceto può essere un problema.
  • Il clima è terrificante: pioggia, scrosci, sole, umidità, afa, temporale. E metti la giacca e togli la giacca. E apri l’ombrello e chiudi l’ombrello. Che l’indecisione politica si rifletta direttamente sul meteo? 
  • Vi racconteranno che Washington è una città bike-friendly, che ci sono tante piste ciclabili e che è facilissimo prendere e depositare le bici. Non è vero niente! Se i punti di raccolta sono pieni vi toccherà scarpinare come provetti escursionisti finché non ne trovate uno libero, il che è anche giusto se non che in linea di massima, sotto la pioggia battente è più facile trovare una pepita di kriptonite piuttosto che un deposito biciclette disponibile. Però allora non spacciate la vostra città per un luogo bike-friendly perché i veri biker se ne fanno un baffo di due gocce di pio
  • Non è inusuale trovare cadaveri di panteganone in mezzo ai marciapiedi. Non so se sono stata particolarmente sfigata io, ma mi sono imbattuta in almeno 4 esemplari, lì, stecchiti a pancia in su in mezzo alla strada pedonale. Ma bestie di una stazza tale che facevano sembrare le pantegane milanesi dei Navigli dei minuscoli e teneri topini da fiaba Disney.
  • Il geolocalizzatore a Washington funziona leggermente meglio, ma solo quello di Uber. Quello di Lyft continua a fare schifo. Nonostante questo in America tra Uber e Lyft vince decisamente quest’ultimo! Volevamo andare ad Arlington, quindi anche un bel tragitto, e abbiamo avuto l’idea geniale di chiamare un Uber che, lo ripeterò alla nausea, non mi ha mai dato problemi in Europa! Per stare pure un po’ comodi, visto che ormai l’ombrello era una estensione naturale del braccio, prendiamo pure l’Uber XL… Bene, il tizio, dopo essersi perso due volte, dopo aver fatto passare il tempo di attesa da 5 minuti a 27 a “quando arrivo, arrivo”, fa un’inversione a U sulla strada principale, ci si accosta, ci guarda schifato, ci dice che siamo troppi e… sgomma via! Lasciandoci così, allibiti e fradici. Ah, eravamo in 4 e nessuno con problemi di sovrappeso (che non sarebbe stata comunque una giustificazione per un comportamento del genere!). Dopo imprecazioni di vario genere, ci siamo decisi a prendere la metro: vecchia, puzzolente e con due corse all’ora ma sempre meglio del tassista pazzo. 

Cose da vedere:

  • National Air and Space Museum: la parte sugli aerei francamente è un po’ gnè, ma a mio marito è piaciuta un sacco. Io ho provato grande stima per quei temerari che volavano su delle cose tenute insieme a suon di preghiere e poco altro. La parte dello spazio invece è fighissima: dalle vite degli astronauti, agli equipaggiamenti nelle capsule, ai filmati sugli allunaggi (e sì, l’uomo è stato davvero sulla luna, non diciamo scempiaggini!). Bellissima anche la parte interattiva che mostra lo spazio: sono anche riuscita a costruire una specie di universo stabile senza che i pianeti cozzassero fra di loro ed esplodessero. Se ce l’ho fatta io, chiunque può riuscirci. Abbiamo portato a casa il gelato degli astronauti alla menta e cioccolato: sta in una bustina e non va nemmeno in frigo. Per ora non l’abbiamo aperto, in caso vi farò sapere. La cosa più extraterrestre di tutte però è che pare che anche Molko abbia visitato il museo il mio stesso giorno. Naturalmente non posso né confermare né smentire perché, anche fosse successo, non l’avrei riconosciuto, essendo lui un maestro Jedi del travestimento, come spiegherò meglio successivamente. Altra cosa decisamente soprannaturale è che il museo è gratuito e sono riusciti a gestire l’ingresso di circa 200 persone (con tanto di controlli e ombrelli) in 5 minuti netti. 
  • Cimitero di Arlington: ci si arriva in metropolitana abbastanza comodamente. Ammetto di esserci andata solo per la tomba di JFK e Jackie. Per il resto non capisco molto questa smania di arruolarsi e morire per la patria, e mio marito mi rimprovera sempre. Ma tant’è, sono una sognatrice e preferirei che le persone non dovessero proprio morire in guerra, ecco. Il cimitero di Arlington è immenso, centinaia di metri quadrati pieni di lapidi perfettamente allineate che sembrano gli asfodeli degli Inferi, unico nutrimento per gli spettri lì imprigionati. Nulla a che vedere con i nostri cimiteri che sono dei musei a cielo aperto. Abbiamo visto anche il cambio della guardia: fanno un po’ impressione, sembrano dei robot… Si capisce con non sono fan della vita militare?
  • Campidoglio, Obelisco e Casa Bianca: mi pare di averli visti di sfuggita, sotto l’acqua quando il mio telefono ha scandito il 94esimo chilometro fatto a piedi. Non ne ho una gran memoria. 
  • E poi se c’è altro da vedere io francamente non lo so perché sono arrivata all’ultimo giorno talmente stanca, con talmente tanti dolori addosso, con talmente tanti chilometri nelle gambe e con talmente tanta pioggia nelle ossa che ammetto di aver vagato per la città come uno zombie molesto. Avete presente i bambini che quando sono stanchi cominciano a fare i capricci triturando gonadi e ovaie a tutti i presenti? Bene, eccomi. Mi aggiravo con lo sguardo vuoto, sospirando e gemendo, facendomi letteralmente trascinare e strascicando i piedi. Una piattola sarebbe stata più collaborativa. Ne vado fiera? Assolutamente no. Ma in fondo Washington sarà sempre lì, la mia sanità mentale e fisica forse no…

Cibo e affini:

  • L’hamburger al diner dell’Hotel Harrington: abbiamo scelto questo albergo perché improvvisamente un giorno, circa due settimane prima di partire ci hanno cancellato il treno notturno che avevamo programmato di prendere e così abbiamo dovuto cercare una soluzione di emergenza. L’hotel è in una posizione perfetta, vicino a tutto praticamente. Abbiamo scoperto, una volta arrivati, che si tratta del più antico hotel di Washington ancora in attività. E credetemi, si vede! L’arredamento è sicuramente rimasto quello originale, così come la moquette, il bagno, i telefoni e, soprattutto, l’impianto elettrico del 1914. Del resto, come ci hanno ricordato delle belle placche, l’hotel è stato il primo a Washington a mettere l’aria condizionata, nel 1938. E tale è rimasta. Nel complesso però pulito (la recensione sugli insetti come compagni di letto l’ho per fortuna letta dopo!). Al piano terra c’è un diner che serve da mangiare fino all’1. Il che, credetemi, è un’assoluta rarità. La musica è favolosamente anni 80, l’hamburger viene servito in stile Ikea, scomposto, in modo tale che ognuno decide di metterci quel che preferisce, le patatine sono eccellentemente croccanti e la cameriera mi ha portato una birra senza chiedermi i documenti! 
  • Vi ho già detto vero che sull’Indipendence Avenue, dove ci sono tutti gli Smithsonian, non c’è un bar/caffè/ristorante nemmeno a pagarlo oro. In compenso è pieno zeppo di furgoncini che spacciano il più fritto street food che si possa immaginare e 2000 tipi diversi di bubble tea. Peccato che si possa pagare solo in contanti
  • Se per caso ordinate da bere (qualsiasi cosa sia, dal caffè alla coca cola) per due, non fatelo. Ognuno ordini per sé. Qui non concepiscono il fatto che una persona possa prendere qualcosa per qualcun altro. Così a mio marito hanno rifilato un caffè doppio e alla mia amica un litro di coca cola. Al massimo vi daranno un secondo bicchierino e una seconda cannuccia, guardandovi però con pietà. 
  • Per avere delucidazioni su pasti luculliani, rivolgetevi direttamente al mio consorte: lui sì che si è nutrito in maniera adeguata e succulenta. 

Cose che ho imparato dai concerti dei Placebo a Washington: 

- Il friccicore del Second of May lo avvertiamo forse in 4. (per sapere cosa sia, eccovi una vignetta esplicativa di Petroks_art


Alla maggior parte della gente non gliene frega una ceppa, men che meno a Molko che ha esordito con: “Mi dicono che oggi è il Placebo Day ed è la prima volta che suoniamo il 2 di maggio” con buona pace di Lisbona 2017. Era il 2 maggio, lo so per certo perché c’ero… e qui trovate anche il resoconto della serata che fu: LISBONA 2017

  • Sempre con uno spirito da umorista consumato, Molko ci informa che, essendo appunto il Placebo Day si sforzeranno di non fare troppo schifo, ma che in caso ci sarà un altro concerto il 3 di maggio, nello stesso luogo e alla stessa ora e che in quello faranno del loro peggio. Avete presente quelle stragnocche che, con sguardo languido e ciglia flappeggianti, vi dicono: “Oggi mi sento proprio un cesso” solo per strapparvi un complimento in cui poi gongolare? Ecco, uguale.
  • Naturalmente, visto che la battuta è stata un successone, il simpa della compa formato mignon la ripropone con orgoglio il giorno successivo, scatenando, come da copione, risatine isteriche e applausi come se avesse recitato tutti i monologhi di Gioele Dix. 
  • Domanda: ma se a voi, per pura sfiga, si disintegra il Wi-Fi dell’albergo, cosa fate? Io ho almeno due opzioni decenti: 1. Mi chiudo in un museo (o in un parco se non piove), 2. Se proprio non posso rinunciare a vedere per la 74esima volta la mia serie tv preferita, mi compro un e-sim e per comodi 35 dollaroni, navigo senza limiti per ben 7 giorni. La mia band invece no. La mia band è differente e decide di rinchiudersi in un tour bus piazzandosi esattamente davanti alla venue per scroccare evidentemente il Wi-Fi. Così, come un Gruppo Vacanze Piemonte qualunque, passano 5 ore tappati dentro a un autobus, tutti insieme appassionatamente. Ciò vuol dire che per un’unica e rara volta, Molko ha fatto più fila della sottoscritta davanti a una venue, il che ha del surreale.  
  • Il mio cantante vince a mani basse il primo premio per il peggior travestimento della storia. In compenso si conferma sul primo gradino del podio nella disciplina olimpica di “salto veloce su e giù dal tour bus”. Come se nessuno sapesse chi si nasconde sotto quella mascherina, occhiali enormi, cappello, felpa con cappuccio… Diciamoci la verità, un elefante con il tutù avrebbe dato meno nell’occhio. Non è proprio il caso di tentare di sfondare tutte le volte la barriera del suono, soprattutto quando per anni hai lavorato sul terrorizzare i fan in maniera talmente eccellente che delle dieci persone che c’erano ancora fuori dalla venue, 3 hanno attraversato la strada per non intralciarti, 5 hanno fatto un passo indietro quando sei comparso e 2 erano in sedia a rotelle. Siamo pericolosi quando un gattino appena nato eppure Molko ci teme più di un meteorite in rotta di collisione con la terra. E la cosa è reciproca. Le solide basi per un rapporto sano ed equilibrato insomma. 
  • Stefan Cuore di Panna Olsdal conquista un posticino nel mio cuore nel momento in cui si ricorda che la sera precedente gli avevo detto di essere stanca e si preoccupa di chiedermi se mi sono riposata. Per non so quale motivo finiamo a parlare di artrosi, mal di schiena e acciacchi dell’età, prima di fare un breve excursus su Raffaella Carrà.  
  • Due note per le future date italiane. 1. i nostri sono molto felici di venire in Italia anche se li abbiamo doverosamente messi in guardia sulla pericolosità e grandezza delle zanzare della Pianura Padana. 2. Se Molko mantiene il mood di felicità è probabile che faccia cantare il pubblico. Esercitatevi a urlare “Someone call the ambulance” ed evitiamo di fare figure di merda…

Prima di rientrare in Italia abbiamo fatto una veloce tappa a NYC:

  • Volevamo davvero visitare la mostra di Scarlet Page ma… era chiusa! Abbiamo anche aspettato sotto l’acqua che qualcuno si facesse vivo, abbiamo suonato campanelli, chiesto info ai negozi intorno e abbiamo concluso che questi aprono un po’ quando gli pare e chi è riuscito ad andarci ha avuto solo una gran fortuna. Noi no.
  • Per tutte le città americane, ma a NYC in particolare, aleggia un forte odore di cannabis. A quanto pare recentemente hanno liberalizzato l’uso della marjuana e, a quanto pare, tutti hanno deciso di diventare cannaioli. Volenti o nolenti a fine giornata sarete fatti come dei cachi, rassegnatevi. 
  • Se scegliete come deposito bagagli un negozio che si chiama City of Flowers sappiate che NON è un fiorista. È un negozio di cannabis, quindi è bene essere consapevoli che anche i vostri bagagli odoreranno di canna che, dovendo poi passare dei controlli in aeroporto non è esattamente il massimo.

Stanca, con 100 km percorsi a piedi e 1750 in treno, dopo aver ingurgitato una quantità imbarazzante di patatine e coca cola, dopo aver tentato di prendere alla lettera l’esortazione Grow fins, go back in the water ed essermi quasi trasformata in un anfibio dal momento che ha piovuto incessantemente, sono arrivata al termine del mio mini tour americano e, a conti fatti, ne è valsa decisamente la pena. Ogni passo, ogni schifezza mangiata per strada, ogni goccia di pioggia è stata ripagata con gli interessi. Venue piccine, ottimi e veloci controlli, zero spintoni, zero ansia: serve altro? Ah sì, una band in ottima forma, dei compagni di viaggio eccezionali e il paradiso è servito  

Alla prossima, con rinnovato entusiasmo <3






Commenti

Post più popolari