LONDRA - 15 DICEMBRE 2016
C’eri tu, con quel sorriso di sempre e quegli occhi che
parevano non finire mai. E poi c’ero io. E credimi, mi sono persa solo a
guardarti (cit.) (Ovvero di quando superi l’orlo del burrone e ti lanci in una
follia senza pensarci due volte e con un’espressione ebete stampata in faccia.)
E anche per quest’anno è arrivata l’epifania che tutte le
feste si porta via. Ah no, dite che sono in anticipo? Mah, ho avuto 13 natali in due mesi, direi che posso
sentirmi a buon diritto leggermente confusa.
Cominciamo col dire
che a Londra ti senti sempre un po’ a casa perché insomma, lo sanno anche i
sassi che sei perdutamente innamorata di questa città. Ora che poi hai trovato
il pied-à-terre ideale, la ami ancora di più.
Cominciamo col dire
che la suddetta città ti accoglie con un caldo confortante e ti sembra
quasi impossibile che in Italia faccia un freddo che congela anche i neuroni
(cosa che nel tuo caso è del tutto irrilevante, dal momento che i suddetti neuroni
te li sei giocati tutti a carte).
Cominciamo col dire
che la data di Londra la attendi con un misto di euforia e disperazione.
Perché sai che sarà uno show fantastico visto che i nostri giocano in casa, ma
sai anche che metterà la parola fine a un delirio lungo due mesi. E quel
delirio ti mancherà come l’aria.
Cominciamo col dire
che la mattina ti svegli all’alba per andare a fare la fila, lasciando
sconcertati i tuoi ospiti che ti fissano in pigiama con la netta convinzione di
aver accolto in casa non la personcina gentile ed educata che porta i dolcetti,
ma una folle dallo sguardo allucinato che trotterellando esce alle sei del
mattino canticchiando ALL’ALBA VINCERÒ…
Cominciamo col dire
che dopo tre fermate di metro cominci a sospettare che qualcosa non stia
andando per il verso giusto… Capolinea? In che senso capolinea? Eh niente… Di
nuovo hai preso la metropolitana dalla parte sbagliata. Brava! Si torna
indietro. Con fare pacato e indifferente risali e aspetti pazientemente che il
treno riparta. 5 minuti, 10 minuti, 15 minuti: cosa devo fare? Scendere a
spingere? Maledici te stessa, il fato, il destino, l’autista, l’intera rete
della metropolitana londinese, due tizi che ti fissano e pure un piccione
entrato per sbaglio! Ripartiamo. Ma siccome dobbiamo evidentemente aspettare
che salga anche Sherlock Holmes, stiamo fermi a Baker Street altri 20 minuti.
Potevo alzarmi a un’ora cristiana e ingoiare sette pancake invece di uscire
senza nemmeno un caffè all’attivo!
Finalmente arrivi.
Da lontano vedi lo stadio: è bellissimo e imponente! Naturalmente loro non
suonano lì, ma nella più piccola (ma elegante e delicata) Arena lì a fianco. Inutile dire che la metà delle persone
in fila sono del comparto italiano fedele nei secoli. Inutile dire che gli schiamazzi cominciano in tempo zero. Inutile
dire che hai un disperato bisogno di caffeina.
A chi si chiede come si fa a sopportare 10 ore di fila (o
più, ma non nel mio caso!) rispondo semplicemente che, con la compagnia giusta,
potresti stare in fila anche 20 ore e non accorgertene. Avete presente quando
vi incontrate con le amiche a prendere un aperitivo e poi improvvisamente si è
fatta ora di cena e senza che ve ne rendiate conto siete al bicchiere della
staffa e poi al cappuccino della colazione? Ecco, uguale! E, anche se le tortine natalizie che hai portato non
hanno riscosso un grande successo (diciamolo, facevano schifo e avevano il peso
morale di un genocidio) tanto da volerle riciclare come esca per il tuo
cantante lanciandole sul palco (e sì, l’immagine di Molko che si produce in
un’imitazione del camaleonte Pascal e le afferra al volo con la lingua è
esilarante e vagamente erotica), in fondo vuoi bene a tutti lo stesso. Tra una
dissertazione sulla telefonia scandinava, un saggio sulle risorse idriche a
rischio esaurimento, speculazioni su sedicenti marche di ombretti dalla composizione
sospetta e classifiche sulle scene porno delle serie tv, le ore passano in
fretta. Poi c’è anche una signora che ha impegnato il tempo lavorando
alacremente all’uncinetto,
probabilmente confezionando babbucce a misura Molko.
Aprono le porte e dopo 20 minuti senza respirare, finalmente
la transenna si assesta consentendoti di capire esattamente dove ti sei
piazzata. Ci metti 2 secondi a capire che sei in una posizione oggettivamente
insostenibile: potrebbe essere il tuo ultimo concerto causa infarto multiplo. E
ti sale un filino di angoscia. Sensazione che viene ammortizzata immediatamente
dall’effetto soporifero dei Minor Victorqualcosa. E lo sai che dovresti
apprezzarli tanto, che in fondo sono bravi, che al tuo cantante piacciono
molto… ma è impossibile! Innanzitutto il suono è fortissimo, poi la tizia ha un
look alla “spera-che-non-prendo-fuoco”
che proprio è inguardabile. Dopo il completo argento da albero di Natale e
l’abito da operetta, stasera abbiamo un finto vestito da sera della collezione
82/83 di Bon Prix. Decisamente qui hanno tutti un problema con gli stylist.
Oltre che con i parrucchieri, perché questo
cerchietto piumato è talmente consunto, che tra poco prende il volo da solo e
si ritrasforma in upupa sotto i nostri occhi… Bando alle cattiverie, dopo un
tempo che pare infinito, salutano, ringraziano e se ne vanno.
Comincia il solito video di EVERY YOU, EVERY ME (Bitch version) e, mentre lo canti a mo’ di
inno nazionale con la mano sul cuore, pensi che sembrano passati velocissimi questi
18 anni da quando l’hai sentita per la prima volta, pensi che ti piace sempre
come allora, pensi che anche se è una canzoncina un po’ scema (non certo di
quelle profonde e strappamutande che piacciono tanto a noi fan disagiati), la
ami pazzamente perché è quella che te li ha fatti scoprire. Pensi anche che sia
stato fortemente disonesto e moralmente
deprecabile tenere questo video in saccoccia per tutto questo tempo. È
chiaro che non poteva essere premeditato che diventasse il jolly del
ventennale. Quindi si tratta proprio di crudeltà mentale. Avrebbero potuto
usarlo nei momenti di magra, per esempio quando fingevano di essere in pausa
creativa e invece si sollazzavano sotto una palma bevendo cuba libre a fiumi.
Oppure nel lungo periodo in cui il tuo cantante ha deciso che essere misogino
non era più sufficiente e ha fatto un upgrade diventando ufficialmente
intollerante a ogni tipologia di essere respirante, sfoggiando un look dal
chiaro intento repellente pur di tenere lontana qualsiasi forma di fan e
sorseggiando tisane alla passiflora come se non ci fosse un domani, questo
video avrebbe potuto essere usato come sprone a non perdere la speranza. E
invece no, ce lo siamo tenuti per il ventennale, #benemanonbenissimo, pretendo il rimborso di almeno un biglietto!
I nostri sono in grande spolvero stasera: Stef è in farfallone mood e sta, al solito,
benissimo, tuttavia… Ora, io capisco gli xmila dobloni spesi per il completo
butterflies, ora però lo pensioniamo, vero? Insieme alle Converse tenute
insieme dallo schotch, vero? E magari già che ci siamo, mandiamo in vacanza
anche lo scoiattolo, vero? Così, qualche suggerimento a caso per il look
primaverile!
Brian invece è in giacca. Addirittura… Eppure fa caldino mi
sembra! Maglietta nera, gilet, giacca: aggiungiamo un parka e uno scialletto e
il look è completo!
A volte (molto spesso in realtà) mi verrebbe voglia di
prendere per mano questi due soggetti dalle grandi potenzialità e portarli a
fare shopping. Penso di farcela a portarli in un posto migliore del magazzino
dei capi fallati e fuori stagione di H&M dove evidentemente si servono.
Parte PURE MORNING
e tu pensi che sembrano passati anni da quando dicevi che anche se non la
facevano per te era lo stesso, che in fondo non ti piace poi tanto e soprattutto,
soffrendo di una forma acuta di horror vacui, quel video non riesci proprio a guardarlo.
E invece ora non riesci a immaginare un attacco migliore (B3 sei stata bella e
ti abbiamo voluto bene ma, come dire… sei stata superata!)
Dopo LOUD LIKE LOVE la
giacca sparisce insieme ai fotografi ufficiali. E meno male, in entrambi i
casi. Brian mormora un: “Sono sudato dopo sole due canzoni. Buon segno”. Buon
segno per cosa non si sa, per noi la smaterializzazione di giacca e la comparsa
di sudore sono certamente fonte di tripudio e gaudio.
Falsa partenza per JESUS’
SON: una chitarra si rifiuta di suonare correttamente. (Ho mai detto che
apprezzo fortemente questo suo aspetto cazzaro?) Ridacchia e arrossisce come un
bambino beccato con le dita nella Nutella… Ma come? Il soundcheck non l’hai
fatto? In ogni caso, la colpa è solo ed esclusivamente della chitarra
(poveretta, già la vedo galleggiare sul Tamigi con scoiattoli impenitenti che
la useranno come zattera) che viene prontamene sostituita. E tu pensi che sono
passati solo 5 mesi da quando, scoperto che i nostri stavano girando il video
di JS in Sardegna, hai pianto tutte le tue lacrime cercando un mezzo che ti portasse
sull’isola in tempo zero, a un costo moderato senza costringerti a vendere
altri organi. Ricordi perfettamente come alla fine l’operazione sia naufragata,
dato che l’unico trasporto possibile era il monopattino, ma tu abbia affrontato
serenamente la cosa bevendo responsabilmente (cioè facendo tanti shottini e non
sgollandola in un sorso solo) una bottiglia di tequila.
SOLUMATES e SPECIAL NEEDS sono sempre perfette (e
questa volta nessuno si dimentica pezzi e parole, bravo!) e si registrano anche
avvicinamenti dei nostri al bordo palco, che scatenano gli entusiasmi delle
retrovie e il confine tra te e una sottiletta un po’ stantia comincia a farsi
davvero preoccupante.
LAZARUS è ufficialmente
diventata la tua preferita, un po’ perché Brian si muove ancheggiando verso
Stef con una grazia da passerella e un
po’ perché ti riporta a quel disgraziato 13 ottobre nella sperduta cittadina di
Aarhus (che ora sai esattamente dove si trova) quando l’hanno fatta al soundcheck
e a te, che eri fuori in coda, batteva forte il cuore perché era la prima cosa
che sentivi dal vivo dopo più di un anno.
E non ci potevi credere che fosse proprio quella. E poi, diciamolo, il
tuo cantante che si arriccia tutto strillando ALIVE e guarda con disprezzo la
folla perché IT’S HORRID TO SEE YOU AGAIN è uno spettacolo di tutto rispetto.
Rifletti che forse cominci a soffrire di una “lieve” forma della sindrome di
Stoccolma, ma in fondo è solo una nota in più da aggiungere alla lista delle
cose da raccontare all’analista. Sempre ammesso che tu riesca a trovarne uno
abbastanza bravo e paziente, perché l’ultimo cui ti sei rivolta, dopo che gli
avevi adeguatamente sfrangiato le parti basse, ha cominciato inspiegabilmente
ad ascoltare i Placebo e le sedute si sono trasformate in breve in lezioni di Placebologia 2.0
Prima di TOO MANY
FRIENDS c’è la presentazione della band e il povero Nick ormai da diversi
concerti ha il cognome storpiato in Gavrilovik. Sogno segretamente da tempo
immemore che un giorno il ragazzo si ribelli, afferri il microfono e declami la
pronuncia corretta!
Su TWENTY YEARS
c’è la solita pausa sigaretta. Ora ditemi quanto può essere alto il livello di
disagio del tuo cantante che è costretto ad accucciarsi dietro la postazione
chitarre e fumare a tutta velocità… E quanto può essere alto il tuo livello di
imbarazzo dal momento che sei talmente vicino al palco da percepire
distintamente l’odore di fumo quando rientra. E un tanfo che normalmente ti
disgusterebbe, improvvisamente ti fa l’effetto dell’Amortentia di potteriana
memoria.
Su I KNOW non c’è
più nulla da dire se non rispolverare l’antico adagio coniato nell’ormai
lontano marzo 2015 da una consorella: “Ma se gli dico I LOVE THE SONG, I LOVE
THE SINGER, faccio una figura di merda?” “Sì.”
DEVIL ha sempre
dato enormi soddisfazioni, sia a noi, sia a lui. Suppongo che stasera si
produrrà in una lunga impastata in aria, dal momento che ho notato che il
figliolo è in tribuna. E INVECE NO…
questo impunito si lascia andare a una ravanata che compete solo con quella
parigina. Che poi, a dirla tutta, non è che sia un gesto poi così erotico…
sicuramente non quello che gli riesce meglio! Ora, tralasciando i dettagli
sconvenienti, tutto questo strizzamento, accompagnato da espressioni di
sofferenza nemmeno troppo misurata, ricorda più il bisogno impellente di un
bagno piuttosto che un arruffamento sotto le lenzuola. Ma, si sa, a noi povere
fan prive di neuroni e in un perenne stato di catalessi, basta davvero un
niente per sfoggiare lo sguardo a cuore e una poco dignitosa bava.
Il resto prosegue come da copione: SPACE MONKEY con il dito agitato, EXIT WOUNDS con il labbro teso, PROTECT ME con il braccio da vigile urbano, WITHOUT YOU con gli occhi al cielo, 36 DEGREES con i sospiri (di tutti) e il test di gravidanza alla
mano, LADY OF THE FLOWERS con le
scuse false come Giuda e lo sguardo sentitamente incazzato.
E poi… finisce la parte malinconica e il pubblico esplode: quasi 10 minuti di applausi, urla, lacrime,
grida… E pure il figliolo sulla tribuna si agita scuotendo i riccioli sotto
una corona argentata (sì indossa una corona. No, non so perché. Ma è
bellissimo.) E loro gongolano e si gonfiano come tacchini. (Ok, Stef si gonfia
come un tacchino a dieta…) Si guardano come a dire: ma tu te lo aspettavi? (In
realtà sospetti che il pensiero sia più: “Ma non smettono più? Dai, che ho da
fare e ho anche fame!”) E tu, a dire il vero, un po’ te lo aspettavi. Se non a
casa, dove? Così come mi aspetto che la parte ballereccia dello show sarà
ostica da affrontare. Il ricordo di Londra 2015, quando hai visto spalancarsi
le porte dell’inferno, sparire gonne, fan inghiottiti e mai più ritrovati, è
ancora fin troppo vivido.
E, infatti, il rapporto tra te e la transenna si fa
imbarazzantemente intimo, complici Brian che incita a ballare e battere le mani
e la folla dietro che non aspettava altro.
Ho mai detto che Brian batte le mani in un modo molto buffo?
Sembra una piccola foca (senza la puzza della foca stessa, per fortuna). Ora,
lui lo fa perché deve tenere il plettro - che Dio non voglia vada perso che poi
dobbiamo sostituirlo e io mica sono qui a sgolarmi tutte le sere e a sudare
come un facocero per mantenere le ditte di plettri; noi lo facciamo per
amorevole spirito di emulazione. Del resto ricordi benissimo quando
all’Unplugged fece quella battuta becera degna di uno spettacolino di cabaret
su TeleVomero (Qanun is out of tune…). E tutta la platea giù a ridere
istericamente come se stesse assistendo alla migliore performance di Panariello
che imita Renato Zero. Come dicevo, ci
basta davvero poco…
In tutto questo infinito bordello, porti a casa la tua
ultima conquista del tour: l’uomo della security. Poverino, in realtà era
terrorizzato che tu volassi fuori dalla transenna da un momento all’altro.
Fatto sta che continuava a sincerarsi della tua salute, offrendoti da bere
dell’acqua clorata e stagnante recuperata non si sa da dove. E siccome ti
pareva brutto rifiutare, hai pure bevuto quella robaccia!
Alla fine sei incredibilmente viva (certo, probabilmente
morirai a causa del batterio dell’acqua di cui sopra, ma bazzecole!), hai lo
spessore di una fetta di San Daniele tagliata sottile sottile, ma sei viva. I nostri si preparano per
l’encore e prima di uscire Brian saluta la prima fila uno per uno e bofonchia
un I LOVE YOU (valeva la pena
rischiare la vita solo per questo? Sì.)
La cosa notevole della parte finale è che alla povera Bitch
si rompe una corda. Meschina, anche lei ha letteralmente tirato gli ultimi. Ma
il nostro non si scompone e continua a suonare come se niente fosse (come
faccia con una corda in meno non lo so. E non voglio piegarmi a facili
illazioni. Lui suona, ok?).
RUNNING UP THAT HILL
stasera è perfetta, più del solito. È anche un po’ amara perché è l’ultima
volta. Si spegne tutto, Stef soffia un bacio verso la tribuna, dove si suppone
ci sia la sua famiglia, confermandosi ancora una volta dolce come una doppia
porzione di banoffee pie. Brian no. Agita le manine, si inchina e se ne va,
confermandosi ancora una volta un tesoro di stronzo.
Da quest’ultimo concerto ho imparato due cose fondamentali:
- - Molko è
come la Gioconda: in qualunque posto tu ti metta, sembra sempre che ti
osservi. Poi magari non vede una mazza fionda, ma l’impressione è comunque
devastante per l’ultimo neurone rimasto che decide per il suicidio nell’esatto
istante in cui ti pare che il suo sguardo si sia posato su di te, conferendoti
per altro un’espressione ancora più beota del solito.
- - Posso
prendere il B1 in Molkese stretto, sottodialetto autoctono di ceppo
indoeuropeo. Dopo aver imparato a pronunciare correttamente IOR DE CIUF NODDAI,
ora posso affermare con certezza di aver abbandonato per sempre il desueto YOU
in virtù del più moderno e brillante IAU.
E poi è finita
davvero… E ci sono i saluti con tutti,
baci&abbracci&civediamoinprimavera, ci sono i baci di consolazione a
chi il concerto non è riuscito a goderselo, ci sono le birre al bar dell’hotel,
le pizze alle 3 del mattino e gli incontri imbarazzanti in corridoio. E poi ci
sei tu, che esci la mattina dopo con un sorrisone stampato perché già stringi
fra le dita un biglietto nuovo. Dicevo,
ci basta poco per farci felici…
Sei particolarmente orgogliosa di te stessa perché, a
differenza della volta scorsa, non hai versato nemmeno una lacrima! Nessuna
depressione post tour in agguato, evviva! Vuoi solo tornare a casa. Per la
prima volta lasci Londra senza frignare, incredibile!
E INVECE NO… Il
destino non può certo fartela passare liscia così, soprattutto quando decidi di
sfidarlo addentrandoti nel traffico londinese per arrivare in aeroporto. Ora,
passi la nebbia, passi il caos, passi il gregge di pecore, ma l’incidente tra
un camion che trasporta birra e un furgone pieno di tappeti, NO! Il tizio di
Uber è ottimista, ce la facciamo tranquilla. TRANQUILLA UN CAZZO! E infatti: sorry darling, the gate is close…
Ecco che darling ha una crisi isterica in piena regola e
comincia letteralmente a singhiozzare nel bel mezzo di Heathrow. Ok, ci sarà un
altro volo giusto? SBAGLIATO! O
meglio ci sono, ma fino a lunedì mattina nulla sotto i 1200 euro. Nemmeno
provando rotte LONDRA-PARIGI-MILANO, LONDRA-STOCCOLMA-MILANO,
LONDRA-NULLISTAN-MILANO… Niente. Ti rassegni a stare qui ancora due giorni.
Oddio ti rassegni è una parola grossa… Trovi un albergo e continui a lacrimare
fino a quando non entri in camera. Dalla faccia che hai, sembra che ti abbiano
appena sterminato la famiglia e capisci anche lo sguardo di compassione del
receptionist (carino, ti ha anche offerto una tisana. Alla passiflora. Eri
indecisa se versargliela sul computer o vomitargliela a terra). Esci a comprarti
da mangiare, sempre piangendo come una disperata e pensi che la cosa peggiore
che potrebbe succederti sarebbe incontrare Molko per strada. Ma una punizione
del genere non te la meriti. Nemmeno se avessi commesso crimini contro
l’umanità nella tua vita precedente. E, infatti, almeno questo ti viene
risparmiato.
A chi ti ha detto “Che culo, passi un giorno in più a
Londra” è opportuno ricordare che sei stata tappata in albergo a lavorare tutto
il giorno, cosa che avresti comunque dovuto fare a Milano. E il fatto di farlo
a Londra non ti ha reso le cose più facili e gioiose.
TU VOLEVI SOLO ANDARE
A CASA… e alla fine di questa reclusione londinese forzata puoi affermare
che in questa città non ci puoi vivere per i seguenti motivi:
- - il cibo.
Seriamente, qui si trova ogni genere di tentazione. Ogni più infida porcata. Ogni
attentato alle coronarie è smerciato legalmente. I sandwich, signori, i
sandwich sono la tua droga. Mostarda, cheddar e peperoni? FATTO! Marmellata,
brie e cipolle? FATTO! Maionese, triceratopo e crescione? FATTO! Un mese qui e affonderesti
nel Tamigi come se avessi un masso legato ai piedi, rotoleresti per Oxford
Street come una palla di fieno del Far West;
- - le
sigarette. Costano quanto un mutuo. Per un appartamento di lusso.
Improponibile;
- - guidano
dalla parte sbagliata. E tu, che già soffri di simmetria cerebrale, rischi
sempre di essere investita perché non sai da che parte guardare;
- - non si
sanno vestire. In particolare le donne (e qualche uomo(?) di nostra
conoscenza). E tu non puoi cedere a un declino di stile del genere;
- - si
attivano i sensori di fumo anche quando non stai fumando. E soprattutto
nessuno viene a controllare se sei viva;
- - gli
ascensori si bloccano in maniera casuale e frequente costringendoti a
dividere l’ossigeno con persone allergiche alla doccia e al dentifricio;
- - ti
minchionano mettendoti delle palline alla fragola al posto della tapioca
nel tuo Bubble Tea dicendoti che sono uguali. NON È VERO!
- - hanno
orribili prodotti per capelli. Hai comprato un balsamo che prometteva
miracoli (di certo il costo è quello di un viaggio a Lourdes) e ora la tua
chioma sa di Soflan. Quello verde al mughetto che usa tua madre. Quello che
puzza di raffineria per intendersi.
Insomma, alla fine ti svegli alle 5 per essere all’aeroporto
in tempo per il volo delle 10.30 e ce la fai (ma dai?). Tralasciando che ti affibbiano un posto finestrino di cui avresti
fatto a meno, tralasciando che
dietro di te una famiglia cingalese sta mangiando cose dal mefitico odore di
cadavere, tralasciando il fatto che
la tizia di fianco a te dorme con la testa sulla tua spalla (ROLL EYES), sei
quasi a casa. E quando l’aereo tocca terra, ecco che la bastardissima
depressione post tour che finora era stata buona buona, ti investe come un
treno in corsa e ricominci a piangere come un vitello… Ma seriamente, con i lacrimoni e i singhiozzi come i bambini.
Decisamente il non dare nell’occhio non è una qualità che ti appartiene…
Insomma, alla fine di questo tour sei piallata, fisicamente,
economicamente ed emotivamente. Consumata tanto quanto il Molko gilet, lisa
come la sua maglietta fina tanto larga al punto che… ve be’ sappiamo tutti come
va a finire no?
Che poi Brian l’altra sera ha detto che l’unica costante
nella vita è il cambiamento (BRIAN MOLKO QUOTES, pubblicato da Minchiate&Solluccheri,
2016). Per il 2017 mi auspico altrettanti cambiamenti, in primis quel gilet,
Brian, che risale al tempo di Carlo Cudega e quelle scarpe, Stef, che non
stanno più insieme nemmeno con il nastro adesivo. Di sicuro io sono cambiata,
il mio conto in banca è cambiato e anche tanti rapporti sono cambiati. Ma
questa è un’altra storia, troppo lunga da raccontare ora…
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