SION – SION
SOUS LES ETOILES – 13 LUGLIO 2018
“For it falls out
That what we have we prize
not to the worth
Whiles we enjoy it, but
being lacked and lost,
Why, then we rack the
value, then we find
The virtue that possession
would not show us
While it was ours.”
[William Shakespeare, Much Ado About Nothing]
(ovvero di
quando spremi ogni singolo istante di felicità)
Una delle regole ferree dei
primi appuntamenti e dei matrimonio è quella di non tagliarsi i capelli prima
di tali eventi perché, per la legge di Murphy, il rischio che venga fuori una
cagata di portata mondiale è direttamente proporzionale all’importanza
dell’evento stesso.
Lo so benissimo eppure,
nonostante ultimamente io sia inseguita non esattamente dalla buona sorte,
decido di sfidare il destino e andare a tagliarmi i capelli. La ricerca dura
circa un mese: deve usare solo prodotti bio, non deve avere tinte chimiche da
appiopparmi, deve saper tagliare i ricci e non costare un rene (quello è già
impegnato in altre faccende).
Incredibilmente (e qui dovevo
capirlo che c’era la fregatura) il paradiso del bioriccio sta vicino
all’ufficio e dopo giorni di tentennamenti, ci vado.
E non ci ritornerò MAI Più: chiedo una spuntatina. Risultato: tagliamo,
sforbiciamo, sfoltiamo (WTF????): ma chi te lo ha chiesto? Mi viene da
piangere, sembro un cespuglio potato da Ray Charles. A meno di una settimana
dall’appuntamento con Brian Molko (e altre xmila persone. Vabbè, dettagli!)
sono sotto doping da methi: impacchi, infusi, condimenti per insalata, sto valutando
la somministrazione per endovena anche se credo che l’unico effetto che avrò
sarà quello di somigliare a un Ewok particolarmente incazzato.
Quando hanno annunciato Sion
(o meglio, qualche ora prima dell’annuncio ufficiale) ero in aeroporto e stavo
partendo per Londra. Improvvisamente ho compreso il vero significato delle
parole pronunciate da quello scaltro saggio di Albus Silente: “Sono le scelte che facciamo che dimostrano quel che siamo veramente, molto
più delle nostre capacità.”
Ci sono quei
momenti della vita (rari purtroppo) in cui rifletti per settimane se immobilizzare
6,50 € in un gloss di Kiko che tutto sommato ti sta anche bene e cominci a fare
proiezioni di alta economia per verificare se il rapporto qualità prezzo sia effettivamente
adeguato. A forza di andare a provarlo (perché devi essere proprio super
convinta per fare un investimento di tal portata) consumi tutti i tester di
almeno quattro negozi differenti sostenendo spavaldamente lo sguardo di
rassegnata pietà che ti rivolgono le commesse.
Poi esce una
data dei Placebo.
DOVE?
A Sperdutown
nella contea di Nullistan, esattamente a dieci minuti da quell’incantevole
cittadina chiamata “Se abitassi qui, mi sarei già calata nel piombo fuso”!
E COME CI SI ARRIVA
Con il
monopattino, a dorso di mulo e con un paio di calci nel sedere ben assestati
E QUANTO COSTA?
Ventordicimila
sesterzi un, rene e una carrettata di miele di manuka.
OTTIMO NE PRENDO DUE, ANZI FACCIAMO TRE.
Ecco, io scelgo di essere una groupie.
Sempre e comunque. Anche senza il gloss Kiko.
La mattina
della partenza comincia molto bene versando il succo di pompelmo nel caffè.
Ottimo! Purtroppo le cose non migliorano e nell’ordine:
-
esco
dalla doccia senza sciacquarmi grondando bagnoschiuma per tutto il bagno prima
di accorgermene;
-
uso dell’ottima
schiuma da barba Collistar per lavarmi i denti e ne ingoio un buon quantitativo
prima di sputarla;
-
mi infilo due
lenti nello stesso occhio ma me ne rendo conto solo 20 minuti più tardi
ho come il brutto sospetto
che il destino voglia dirmi qualcosa, del resto la Svizzera non è mai stata
particolarmente benevola con la sottoscritta (gli strascichi di Colmar me li
porterò probabilmente nella tomba! Che come mi dicono dalla regia è in Francia... ma per raggiungerla ho attraversato la Svizzera ;))…
Per una volta, invece, sono
io a farmi beffe del destino: il treno è una pacchia comodosa (niente corse,
niente drammi da imbarco, niente isteria da volo) e la compagnia più che
piacevole (cosa c’è di meglio che viaggiare con un’amica che condivide la tua
stessa forma di disagio?). All’arrivo riusciamo a depistare in tempo zero una
psicopatica ansiosa che aveva deciso di diventare la nostra migliore amica e
raggiungiamo agevolmente l’albergo. Certo, la stanza è un forno crematorio,
l’aria condizionata è un ventilatore del 1922, nel giro di 10 minuti la camera
si riempie di moscerini suicidi e la birra è acqua sporca ma questo vuol dire
solo una cosa: non può andare peggio.
I festival svizzeri sono una
manna dal cielo: zero code, zero ansie, zero sveglia a orari impossibili. Se
siamo già lì davanti alle 11 del mattino è solo perché fa troppo caldo per fare
altro. E io che credevo che in Svizzera ci fossero almeno 10 gradi in meno, che
stolta! Così, mentre la mia band gioca a “Heidi e i suoi amici” sui monti, noi
ci guadagniamo un’abbronzatura tropicale!

La cosa bella dei festival è che si mangiano schifezze a ogni angolo, ci si stravacca sull’erba: insomma un gigantesco picnic con birra annacquata che somiglia tanto a quei beveroni fumanti che Brian sorbisce sul palco. Di certo ha il medesimo effetto diuretico!
Sono le 17. I Placebo suonano
alle 23. Mancano solo 6 ore e 3 concerti. Spero solo di non morire dalla noia.
E invece, incredibilmente, ci divertiamo da matti. Prima di loro suonano,
nell’ordine:
- Un tal Fraissinet di cui ricordo purtroppo
solo una camicia a fiori e un guanto di pelle che fa molto rock...
- Christophe Willem, sedicente vincitore di
un’edizione di X-Factor francese. Bravino, un po’ troppo entusiasta (a un certo
punto scende a cantare tra il pubblico e se ne perdono le tracce per circa
mezz’ora) ma con un movimento di anca decisamente interessante. Vi ricordate
Hugh Grant nel video di Pop Goes My Heart? Ecco, uguale!
- Julien Clerc. Ecco io per questo signore
del 1947 ho letteralmente perso la testa. Sarà che amo la musica confidenziale,
sarà che mi ricorda Julio Iglesias, sarà che è prestante e tiene il palco e la
passerella con maestria, sarà che nelle sue fan che lo guardano con le pupille
dilatate dall’amore vedo il mio futuro non troppo lontano… sta di fatto che
un’ora e mezza passa in un lampo e a un certo punto, con raccapriccio, mi
accorgo di essermi scordata l’attacco di Pure Morning!
E poi è l’ora dell’intro mantra. Le ragazze intorno
a noi ci guardano con sospetto: ma che ne avete fatto di quelle personcine
carine e coccolose che erano qui al vostro posto? Ma avete dei megafoni al
posto delle corde vocali? Ma non vi fate male e battere così violentemente le
mani? Ok, tutto normale!
Quando
i nostri guadagnano il palco si scatena una duplice reazione:
NON
FAN – Mio Dio sono truccatissimi! Espressione di sconcerto e smorfia di non
apprezzamento.
FAN
– Mio Dio, sono truccatissimI! (sì, anche Stef, ed era splendido!) Occhi a
forma di cuore e sospiri di cupidigia.
La
scaletta è pressoché completa (alla faccia dei sostenitori del concerto da 15
minuti), rispetto a Londra mancano solo Without You I'm Nothing e Running, di cui per altro
non si sente la mancanza.
C’è un’atmosfera strana sul palco. Se a Milano
pensavo di aver visto uno show eccellente, ho dovuto arrivare a Sion per
assistere a una botta di energia, rabbia e adrenalina. Molko sembra davvero una
furia (e non nascondo che la cosa se da un lato è inquietante, dall’altro è follemente
eccitante).
Quelle povere ma molto invidiate chitarre
vengono percosse in ogni modo, tanto è vero che le prime note escono a stento e
con una distorsione quanto meno particolare. Un inaspettato rap su Too Many
Friends ci lascia stranite, il miagolio alla fine di Slave to the Wage mette in
moto gli ormoni anche delle settantenni dietro di noi. In uno slancio di
agilità, Molko imbocca anche la passerella sulle note di Twnty Years e, mentre
Brandon strotola e arrotola chilometri di filo, lancia degli urli che
somigliano tanto al richiamo d’amore dei pavoni.
Qualche
stecca (poche a dire il vero e bilanciate dalla foga e dall’impetuosità
dell’esibizione), qualche parola cannata qua e là (del resto Twenty Years è
QUASI una canzone nuova) e il solito immancabile vero fan che all’inizio di
Let’s Go To Bed esordisce con: Olalà la nouvelle chanson. Tutto il mondo
è paese!
Arrivare alla fine di questo concerto sarà
durissima: su Special K Brian perde il plettro, digrigna i denti alle
fan allibite e fa petting spinto con la chitarra. Ancora una volta, sarebbe
stato meglio il contrario. Ma tant’è…
Prima dell’inizio di Song to Say Goodbye
passano interi minuti in cui Stef gioca con il basso riproducendo il verso
della mucca (e siccome siamo in montagna, le mucche vere rispondono anche!) e
Brian, Nick e Bill fanno salotto allegramente: mancano due tazze di tè e
qualche pasticcino e saremmo sul set di “Downton Abbey”
Insomma,
un concerto stranissimo. I nostri sono bellissimi (anche se Brian sembra sia
stato pettinato con le bombe al Paradiso del Cucciolo), talmente tanto che
Naomi Campbell e Dorian Gray potrebbero solo portare loro le ciabatte.
L’energia e l’adrenalina sono alle stelle. Eppure c’è una vena di commozione, di
nostalgia, un prodromo di mancanza imminente. C’è anche una mancata complicità
sempre meno latente, una distanza che non è affatto fisica ma molto tangibile.
Ci sono le lacrime e i saluti, i sorrisi e i ringraziamenti. C’è tutto e il
contrario di tutto. C’è già l’incertezza e la malinconia. C’è già la volontà di
pensarci domani e nascondere la paura dietro all’euforia.
Si
torna a casa con l’amorezza nel
cuore. No, non è un refuso: è amore misto ad amarezza. Un sentimento
strampalato e bipolare che si alimenta di speranze, utopie, illusioni e
chimere.
E poi la consapevolezza di
aver ascoltato quella scaletta così vituperata dai più per l’ultima volta, ti
colpisce con la tenerezza di una mazza ferrata quando meno te lo aspetti ed
esattamente nel momento in cui stai cercando di convincere un fornitore cinese
che no, le case editrici italiane normalmente non confezionano DVD ma libri e
che la tua genitrice quasi ottantenne ti comunica con candore che è caduta
dalle scale, ha un bozzo in testa e ti fa nemmeno troppo velatamente capire che
è colpa delle scarpe che tu, sciagurata figlia potenzialmente matricida, le hai
regalato. È quello l’istante in cui ti accorgi che stai mentalmente ripetendo
TMF come fosse una sorta di mantra. (Tecnicamente si chiama pensiero laterale,
non pensate che io sia totalmente una stronza insensibile)
Rimedi: un DJ set a Ibiza, ovvio!
N.d.A.
Per dovere di cronaca va detto che questo post è stato
scritto ben prima delle dichiarazioni di Stefan durante l’ormai nota intervista
radiofonica dell’8 agosto che hanno semplicemente ratificato un “qualcosa” che
già era nell’aria da diverso tempo. Mi pare d’obbligo sprecare due parole al
riguardo e, naturalmente, si tratta di un punto di vista totalmente personale.
- Vi
ricordo che le frasi “Ho bisogno di una pausa dai Placebo” e “I Placebo non
esistono più” sono molto diverse, non solo grammaticalmente ma anche, e
soprattutto, semanticamente. Se e pur vero che il 90 per cento delle pause di
riflessione sfocia in un divorzio, quell’unica coppia su 9 che invece resiste,
esce da questa esperienza più forte e salda. È troppo provare a sperare che i nostri
facciano parte di questo sparuto e tosto 10 per cento?
- A
tutti quelli che: “È ovviamente colpa di Brian”, “A forza di fare lo stronzo
allontana tutti”, “Anche Stef ne ha le palle piene di lui”, “Rovina sempre
tutto” chiedo solo un favore. Visto che lo conoscete così bene, non è che me lo
presentereste? Giusto per capire eh. Perché io già non mi sogno di giudicare le
persone che conosco personalmente, figuriamoci se mi metto a fare le pulci a
una persona con cui non ho nemmeno mai parlato. Il “ma si sa che è così, lo è
sempre stato” mi spiace ma non regge. Vi rendete conto che vedete solo quello
che decidono di farvi vedere, vero? Vi rendete conto che tutto quello che
leggete è filtrato, vero? Vi rendete conto ci sono miriadi di meccanismi, di
relazioni, di sfaccettature che non conosciamo e non conosceremo mai, vero?
- Stefan
è impegnato nel progetto Digital 21 da anni ormai. Prima c’erano stati gli
Hotel Persona. Brian stesso ha fatto collaborazioni per conto suo. Ora, a
nessuno è venuto in mente che anche adesso potrebbe stare lavorando a qualche
progetto solista? Pare, ma sono solo voci, che Brian riesca a fare delle cose
(per esempio mangiare, bere e lavarsi i denti) anche senza Stef. Certo, non
sono i Placebo. Ma non per questo sarà per forza una merda. Vi ricordo che in
ogni caso la vena creativa del gruppo è sempre stata una e una sola. Per Burger
Queen come per Ashtray Heart, per Without You I’m Nothing come per Too Many
Friends. E se questa nuova ispirazione porterà tante nuove Jesus’ Son, pazienza.
Nessuno è obbligato ad apprezzare ma, purtroppo o per fortuna, non si vive di
rimpianti e di nostalgia.
- Sono
la prima ad apprezzare il dialogo e il confronto. Tuttavia le illazioni restano
esattamente quello che sono: illazioni. Che non fanno altro che alimentare
panico e ansia. I pensieri negativi non servono a nessuno e anche se non siamo
tutti dei Little Sunshine, forse questo è il momento di avere un po’ di
fiducia.
Nella gioiosa ipotesi che
Molko faccia davvero un progetto solista e magari, chi lo sa, metta in cantiere
qualche concerto, faccio una promessa a tutti gli uccellacci del malaugurio che
ho letto in queste ore che si presenteranno. Vi vengo a cercare uno per uno e
vi sputo personalmente in un occhio visto che sono nana come Brian e, forse, altrettanto
malefica.
Commenti
Posta un commento