SIGULDA CASTLE 22-06-2022


Espatriare per partecipare a un concerto dei Placebo è sempre un’avventura da brivido e questa volta lo è letteralmente perché se in Italia ci si può tranquillamente cuocere delle uova buttandosele addosso, in Lettonia sono previsti 16 gradi, pioggia e vento. 

E uno potrebbe pure pensare: che culo, vai al fresco. Certo, peccato che tutto il vestiario con cui potrei agevolmente affrontare la cosa è stipato in sacchetti ermetici meticolosamente accatastati in armadio. Tentare di comprare qualcosa è chiaramente impossibile dal momento che la cosa più pesante in vendita sono infradito e costumi da bagno. Non mi resta altro da fare che raffazzonare su qualcosa e sfoggiare il solito look da disagiata versione autunnale. 

Che questa data non fosse nata sotto una buona stella ho cominciato a sospettarlo quando a febbraio è scoppiata la guerra. Potrebbe peggiorare? Ma certo: la mattina della partenza mi sveglio con 38 di febbre (simpatico lascito del Firenze rocks e della sua pioggia di fango!) e la notizia poco confortante che Putin ha pensato bene di minacciare la Lituania. Che ok, non è la Lettonia ma poco ci manca! 

Parliamo del volo? Parliamone! Già io non amo molto gli aerei ma almeno confido in vicini di viaggio non dico civili ma almeno passabili. E invece ancora una volta l’umanità mi fa un bel regalo piazzandomi di fianco a una gnocca baltica da paura, lunga lunga, bionda e delicata. Che infatti, molto delicatamente. si toglie immediatamente le scarpe e passa letteralmente due ore e mezza a spulciarsi le dita dei piedi seguendo probabilmente un antico rituale dei primati da cui, chiaramente, non si è mai staccata del tutto. Il tutto naturalmente senza farsi sfuggire l’occasione di un ottimo pasto: in un attimo è un tripudio di curry stantio, lasagne bolognese che Bologna non l’hanno manco vista in cartolina e un brodo non meglio identificato ma che ha sospette affinità con la sciacquatura dei piatti. 

La Lettonia prometteva di accoglierci con un clima da autunno inoltrato e pioggia battente, ragion per cui stivali, piumini, ombrelli e impermeabili occupavano il posto d’onore in valigia. E invece, beffa del destino, un sole che manco sulla spiaggia di Rimini a metà agosto! Gli stessi autoctoni sembravano increduli e piuttosto impreparati ad affrontare la situazione soprattutto dal punto di vista dell’igiene personale. Sarebbe facile: più sole=più sudore=più puzza=più sapone. Ma evidentemente qualcosa nelle menti, soprattutto maschili ahimè, del popolo lettone si deve essere inceppato e il sapone non è pervenuto! 

La situazione meteo particolarmente favorevole tuttavia ci spinge a provare un nuovo metodo di approccio alla venue del concerto: la bicicletta. Sono esattamente 25 anni che non monto sul sellino di una bici e potete quindi capire bene che dopo 5 minuti mi facevano male anche i sentimenti che non ho! Tuttavia la scelta ecologista, che per altro verrebbe molto apprezzata dal nostro cantante, si rivela essere la migliore dal momento che ci permette di scorrazzare in lungo e in largo per questa location suggestiva che è l’antico castello di Siguldas. Vi ho già detto che la cittadina è estremamente pulita, ordinatissima, con le aiuole perfettamente tagliate e nemmeno una cartina per terra? Vi ho già detto che alle dieci di sera c’è una luce che da noi si vede forse alle quattro del pomeriggio? Vi ho già detto che c’è un cielo terso che probabilmente Milano non vede dal 1972? Vi ho già detto che tutto questo è inquietante: sembra di vivere in una puntata di Wanda Vision o Black Mirror e mi aspetto di vedere spuntare un serial killer dalla siepe? Considerate poi che comincia a fare chiaro intorno alle 3 del mattino: ma questi dormono mai o sono tutti zombi e vampiri? 

Che il popolo lettone sia un pochino strano l’avevamo capito ma la conferma l’abbiamo avuta il pomeriggio del concerto a circa due ore dall’apertura delle porte. Non c’è una coda: la gente aspetta in ordine sparso. Arriva quando le pare, si mette davanti a tutti, poi beve (parecchio), poi si butta sul prato a prendere il sole, ciondola letteralmente (per l'alcol e per il caldo) senza motivo apparente. Il tutto sempre in ordine sparso. 

Socializziamo con i fan locali e scopriamo che sono tutti estremamente rilassati e faticano a comprendere la nostra ansietà da mancanza di ordine. 

“Ma si poi quando aprono entriamo, con calma. Correre? Ma no per carità e perché poi? Relax!”, dicono. Ah, bello: si fa scialla. BUGIARDI! INFINGARDI E MENTITORI. Appena scannerizzano i biglietti, questI fanno uno scatto che Bolt vatti a nascondere. E per fortuna che il popolo italiano è diffidente per natura, altrimenti eravamo ancora là adesso a guardarci intorno come Vincent Vega. In un attimo sembra di essere catapultati in una puntata di giochi senza frontiere: mi sembra quasi di sentire la voce di Ettore Andenna che commenta la mia performance: "ecco il capitano della Squadra GROUPIE ÂGÉE che affronta le scale. Bene superate! Ora eccola sul ponte levatoio e finalmente entra nel castello per affrontare il pezzo di sterrato battuto dal sole, infestato dalle zanzare e attraversato dai dossi nascondi cavi. Con gli ultimi sforzi e gli ultimi rantoli raggiunge la meta seminando la concorrente ventenne della squadra GOTH Latvia: tocca la barriera e META! Eccellente posizione. Si accascia a terra ma è viva. Per ora.” 

Grazie Ettore! 

Sul concerto, che dire? 

Le band di apertura non sono male: i Purple Negative sfoggiano la versione kitsch e la versione vampiro rispettivamente del chitarrista e del batterista dei Måneskin: sono anche bravini ma un po’ sguaiati. I Sybil Vane invece molto gradevoli: lei una piccoletta molto rock, bella voce, decisamente interessante come sound. La accompagnano un batterista con look da contabile e un bassista che sembra uscito dalla sagra della porchetta di Ariccia: mix strano ma che funziona. 

I nostri arrivano 3 minuti prima di salire sul palco scortati da due van che avrebbero potuto contenere quasi tutto il pubblico. Nel frattempo il palco è pronto: strumenti, asciugamani, sigarette, incensi e tisane.

Siamo in una posizione decisamente imbarazzante: il palco è bassino e vicino, tanto che possiamo letteralmente contare i peli del naso di Brian (si, li ha anche lui. Pazzesco, vero?) e ammirare i baffoni in tutta la loro possenza e virilità! Posso anche constatare con soddisfazione il ritorno di qualche rughetta sulla fronte e intorno agli occhi. 

A dispetto della location piccolina e non particolarmente rinomata, il mood è decisamente positivo anche se un dubbio continuerà ad attanagliarci: chi ha picchiato Nick? Il poveretto sfoggia infatti due occhi pesti, circondati di un inquietante color bordeaux come se avesse appena finito di fare a pugni. Allergia? Truccatrice allieva di Bocelli? Per ora il mistero permane! 

Il mio vicino di concerto è un tipo di poche parole: non sa una canzone, in compenso rutta tantissimo e cerca di uccidermi sulle note di For What It's Worth alzando le braccia a tradimento e travolgendomi con un afrore puteolente e stordente. 

Brian è molto allegro, fa i complimenti al pubblico, sorride un sacco: perde giusto cinque minuti a riprendere un paio di volte delle ragazzine che continuavano a fare video regalandoci una rollata di occhi al cielo paragonabile a quella di una casalinga a cui comunicano l’uscita di produzione del suo smacchiatore per moquette prediletto. 

Il nuovo rituale zen prevede nell’ordine:

  • Sigaretta (3/4 tiri)
  • Tisanina calda (4/5 sorsi)
  • Spray per la gola (12/14 spruzzate)

Siamo a livello altissimi di coinvolgimento e cabaret con la battuta: I smell weed. Can I have it? 

Insomma procede tutto perfettamente, se si mantiene questo andazzo magari stasera qualche autografo lo concede pure! Peccato ci sia un disgraziato in prima fila che sta filmando dalla prima canzone con il cellulare appoggiato alla transenna. Va be', ma Molko gli ha già fatto cenno più volte di smetterla e che lo tiene d’occhio. Non sarà mica così scemo da continuare e rovinare potenzialmente il concerto a tutti... E invece, siccome alla stupidità umana un limite non va mai messo, nel giro di qualche minuto si consuma la tragedia. Dopo l’ennesimo avviso, alla fine di Slave To The Wage, Molko appoggia la chitarra stranamente in modo piuttosto rude e, con un balzo degno di uno stambecco di montagna, si butta giù dal palco. Letteralmente. 


Uh che bello, passa a salutare e stringere le mani!

Ops, no, è una rissa. 




Ora io non credo proprio che Brian gli abbia messo le mani addosso perché non è scemo, presumo abbia solo voluto far capire meglio che AVETE ROTTO IL CAZZO CON QUESTI CELLULARI. 

Certo che, come quando un chihuahua vi si attacca alla caviglia, ci sono voluti due energumeni per convincerlo a mollare il colpo. 

Risale sul palco (sempre agile come uno stambecco, roba che dopo questo sfoggio di agilità ho cominciato a seguire su TikTok i profili che insegnano a migliorare la postura cervicale), chiede se qualcun altro ha intenzione di sbattergli il telefono in faccia che tanto lui non ha fretta e può restare lì a braccia incrociate per molto tempo. (Oggettivamente, come minaccia fa un po’ cagare: a me non dispiacerebbe per esempio.) Poi imbraccia la chitarra e attacca Special K. Mezza strofa e la rimette giù ancora più incazzato: ancora cellulari che filmano. 

Ma allora siete stupidi, non ci sono altre spiegazioni. 

Ho pensato: è finita. 

Invece, dopo un bello scroscio di applausi, il concerto riprende. 

Però ormai la frittata è fatta. Avete presente quando una serata sta andando perfettamente e poi vi viene il mal di pancia bastardo che rovina tutto? Roba che salutate velocemente perché non vedete l’ora di andare a casa a sedervi sul water? Ecco, il paragone non è dei migliori ma rende l’idea. 

Finito il mood positivo, finite le battute, finiti i sorrisi. Fanno le ultime 5 canzoni per dovere e se ne vanno. Brian esce dal palco con la velocità di un neutrino e in un gesto di stizza si strappa il gilet: chissà se è diventato verde come un mini Hulk… 

Ora, condivisibile o meno la reazione, posso capirlo. Certo è che se una persona ti chiede due, tre, quattro volte di smetterla di fare una cosa e tu continui i casi non sono molti:

  • Sei scemo (e questa potrebbe essere l’unica scusante);
  • Sei un maleducato; 
  • Te ne freghi; 
  • Lo stai pigliando per il culo.

Tutti noi abbiamo l’amico stupido che continua a fare una cosa nonostante sappia che ci dà fastidio, a me succede sempre con le cavallette. Eh cosa vuoi che sia? Eh cosa vuoi che sia 'sta gran ceppa. Si credono simpatici e invece sarebbe più gradevole la sabbia nel costume bagnato. 

Al di là del fatto che, a parer mio, è una mancanza di rispetto non solo verso il cantante poco tollerante ma anche verso le altre persone che sono lì per vedersi un concerto per cui hanno pagato e che tu hai rovinato con la tua stupidità, penso anche che ci voglia molto poco a evitare di fare dei gesti che, già si sa, posso essere presi molto male e travisati. Brian apprezza la partecipazione, la gente che balla e canta, che sorride e si diverte: sarà così difficile farlo? Bisogna per forza fargli girare le palle solo perché si è pagato un biglietto, come se questo fosse un lasciapassare per ogni cosa? Ah, per essere chiari il problema non era fare qualche foto, io stessa le ho fatte, o fare un breve video. Il problema è stato riprendere tutto il cacchio di concerto piantandogli una lucina fissa negli occhi. Ora, non è che perché uno ha pagato può pure pisciare sul palco, per dire… 

Peccato, poteva essere un gran bel concerto. E invece…

Ecco io spero di non dover pronunciare di nuovo queste parole. 


Vi ricordo sempre che il nostro bravissimo disegnatore si chiama Patrizio Genna (lo trovate anche su Instagram, guardate che cose belle che fa: petroks_art) e che tra poche settimane inizierà anche una collaborazione super figa con Deicuoristudio_playlist (andate a vedere la sua pagina Instagram perché sta creando qualcosa di meraviglioso e molto placebico)! 



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