18 aprile - Lione (parte 2.0)



And then you come and ease the pain / I don’t want to lose this feeling
[Eternal Flame, Bangles]

(Ovvero di quanto tutto il vento di Lione non ti ha frullato il cervello tanto quanto un solo ansito del cantantino semifamoso)



Milano – Lione: 450 km, 5.46 ore di treno. Nemmeno così distanti, a pensarci bene. Eppure sembra di essere passati nell’emisfero opposto. Dai 24 gradi, clima secco ai 7, “ventodellamadonna”. E hai voglia a cercare di convincerti che è solo perché sono le 7 del mattino, che la situazione migliorerà, c’è un bel sole in fondo… Quando sono le 15, hai ormai le labbra a canotto da quanto le hai spalmate di burro cacao e la pelle talmente secca che potresti scartavetrate tutto il reparto “componibili grezzi” dell’Ikea di Carugate, è evidente che non solo non ci sono margini di miglioramento, ma forse il peggio (climaticamente parlando) deve ancora arrivare.


Dicono che Lione sia una città bellissima, molto caratteristica e romantica. Dicono. Di certo la location della Tony Garnier Halle non corrisponde a questi standard. Non ci sono posti dove mangiare. O meglio, hanno tutti deciso di tenere chiuso a pranzo per fare un’apertura anticipata la sera in vista del grande evento. E io mi chiedo, un po’ spaesata, che razza di grande evento ci sia in programma. Quando scopro che si riferiscono al concerto dei miei amati, non posso fare alto che scuotere la testa e ammirare l’ottimismo. Con il medesimo entusiasmo, la security della venue ha montato transenne che potrebbero contenere tutti i tifosi del Lione Calcio (sono tanti, ve lo assicuro!); e infatti alle 15 si contano ben 38 intrepidi partecipanti al concerto. L’unica cosa sensata da fare, anche per contrastare la paralisi degli arti, è percorrere la location (che per la cronaca è un vecchio macello, la sagra della patata di Oreno si fa sempre più un’ipotesi non peregrina…) per tutta la sua lunghezza e circumnavigarla più volte. E così si scopre che, forse, avremmo fatto meglio ad allenarci sui 200m con scatto perché pare che ci sarà da correre. Parecchio. Ottimo, le tue ginocchia stanno già alzando bandiera bianca! Per fortuna, durante una delle esplorazioni, si scopre che probabilmente il palco verrà montato più avanti (non perché sono stati venduti pochi biglietti, sia chiaro. Solo ed unicamente per consentire di parcheggiare i camion direttamente nel retro del palco, che magari in cortile prendono freddo, e non sia mai). Sempre durante una circumnavigazione, un tizio mette fuori una manotta da un tour bus e la agita facendo “Ciao, ciao!” Non so chi fosse, ma nel dubbio faccio quello che so fare meglio: scappo e mi metto a fotografare fiori con aria indifferente.

A un certo punto, in un atto da kamikaze navigato, decido di mettermi le lenti a contatto. Visto il tempo che c’è, mi pare una scelta del tutto logica. E lì, agghiacciante scoperta. Ho due lenti di gradazione piuttosto diversa (com’è giusto che sia) e con acume aquilino ne ho contrassegnata una con S (sinistra) e una con L (left). Perché? Non lo so. Da quale occhio ci vedo meno? Non lo so. Faccio delle prove. Mi sembra tutto uguale. Vado ugualmente e avviso che se vomito è perché ho invertito le lenti, non perché ho bevuto (anche perché non c’è un posto dove bere acqua, figuriamoci dell’alcol…)
A meno di un’ora dall’apertura porte effettivamente un po’ di pubblico c’è e sono stati allestiti anche dei baracchini che rifocillano i fan con il classico cibo leggero e salutare, studiato da un esperto nutrizionista per poter affrontare al meglio un concerto: sazi ma non appesantiti e con il giusto apporto di minerali e proteine. Un filone di pane, aperto a metà e riempito di patatine fritte. Per i più audaci la versione focacciona fritta ripiena sempre di patatine fritte, ma con l’aggiunta di salamella, maionese e ketchup. Birrone e rutto libero: evviva!

Insomma alla fine, dopo una mezza perquisizione, un’altra fila sempre più esposta alle intemperie, dopo i tornelli e una mezza corsa siamo dentro. Ovviamente dovendo percorrere una distanza olimpionica ognuno va alla “spera in Dio” e finisce dove capita. Ecco io finisco tra una russa mastodontica e un francese attempato. Cosa hanno in comune i due? LA PUZZA! Ah ma stavolta me ne frego e mentre borbotto tra me e me inni all’igiene personale, con estrema nonchalance estraggo il mio profumo da boudoir francese di Victoria Secret’s e lo spruzzo con grazia tutt’intorno. Lei mi guarda scioccata con se avessi sparato un’arma chimica. Lui agita un mignolo dall’unghia lunga con aria indifferente tutto impegnato a mangiare il suo panino (come abbia fatto ad arrivare in transenna con un bicchiere di birra e un panino al prosciutto, resta un mistero…). Per grazia del Signore, in uno slancio di cavalleria questo broccolone anzianotto, lascia venire vicino a me una ragazza russo/tedesco/italiana con cui abbiamo millantato un’amicizia decennale proprio per favorire un avvicinamento. In realtà abbiamo scambiato 4 parole durante la giornata, ma a mali estremi… E così si passa l’ora prima del gruppo spalla parlando di politica internazionale, mafia russa e italiana, differenze e affinità culturali fra popoli (sono sicura che il cantantino sarebbe orgoglioso di siffatte fan!).

Poi arrivano i Last Train. Età media: 13 anni. Il primo impatto? Trainmendi! Poi però mi ricordano le band che suonano ai balli scolastici: hanno lo stesso entusiasmo e si impegnano alla grande. Per fortuna dura solo mezz’ora e loro lasciano il palco baciandosi ripetutamente l’un l’altro. E siccome sono 4 ci mettono anche un po’.

E poi basta, si ricomincia davvero!
Mano sul cuore e si canta l’inno come succede a ogni competizione che si rispetti: il solito video di Every You Every Me pare più bello, più grande, più luminoso. Quasi inedito ecco…
Per mettere subito un freno ai sogni: no, la scaletta non è cambiata. Nemmeno di una nota, nemmeno di una virgola. Di seguito un riassunto veloce con qualche appunto:


Pure Morning (con sorriso)
Loud Like Love (con ansito)
Jesus’ Son (con sospiro e sputata)
Soulmates (con limone duro al microfono e gestacci)
Special Needs (con ansito)
Lazarus (con Molsdal)
Too Many Friend (con entusiasmo e limone duro al microfono)

(smoking break)

20 Years (con ansito)
I Know (con gemito)
Devil in the Details (con ansito)
Space Monkey (con gemito)
Exit Wounds (con ansito e gemito)

(bathroom&smoking break)

Protect me from what I want (con isteria e gemiti)
Without you I’m Nothing (con sospiro)
36 Degrees (con ansito, gemito e leccata al microfono)
Lady of The Flowers (con ansito)
For what it’s worth (con potente leccata al microfono)

Slave to the Wage (con ansito e sputata)
Special K (con sorriso e gemito)
Song to Say Goodbye (con ansito, sputata e gemito)
The Bitter End (con entusiasmo e sputata)

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Teenage Angst (con sorriso, entusiasmo e sputata)
Nancy Boy (con simulazione, entusiasmo, emozione e chi più ne ha, più ne metta)
Infra Red (con gesti atletici e sospiri)

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Running up that Hill (bocca a culo di gallina, con soddisfazione, sospiri e sorrisi)



Come si può notare, la peculiarità di questo concerto è stata l’enorme dispersione di respiro del nostro cantantino. Un tripudio di gemiti, sospiri, ammiccamenti e ansiti amplificati e prolungati che non si sentiva da tempo immemore. Nemmeno nella serie rossa Harmony degli anni 80 sospiravano così tanto. Le pulzelle francesi di fine ottocento, avvolte in crinoline e pizzi, che fingono di svenire portandosi drammaticamente una mano alla fronte e l’altra al petto, al confronto sono delle burine dilettanti. A un certo punto, mi sono guardata intorno per essere certa di non essere finita per sbaglio in una casa di tolleranza a cospetto di una matura maitresse.


Note di look:
Bill: sfoggia il suo look “impiegato del mese della posta di Ornago”.
Nick: ha una barba molto curata. Per il resto, mi auguro che non ingerisca nemmeno una goccia di acqua altrimenti scoppia.
Fiona: come sempre.
Stef: un completo nuovo per il nostro bassista, preso direttamente dal magazzino del Shun Fa Tutto a 1 Euro più vicino. Apprezzo il cambiamento, ma no… Non ci siamo proprio: una finta pelle con alettone laterale che fa venire l’orticaria solo a guardarla. Per quanto riguarda i capelli, be’ non credevo fosse possibile, ma rimpiango lo scoiattolo. La coda di pantegana rinsecchita proprio non gli dona. Io non capisco cos’abbia questo bel figliolo contro una bella sforbiciata…
Brian: RITIRO TUTTO QUELLO CHE HO SCRITTO MENO 24 ORE FA. Non è ingrassato, non è fuori forma, non ha il doppio mento e ha anche dei capelli accettabili. Certo, gli abiti sempre quelli sono. Gli stivaletti vengono direttamente dalla collezione Bata primavera/estate 1984-1985. La camicia non mi entusiasma ma è debitamente scollacciata, quindi va bene. E poi osservandola meglio, il fregio sulla schiena mi ricorda gli stemmi delle case di Hogwarts: Molkigrigi (anche in onore delle basette brizzolate). E devo dire che il nostro si dimostra anche multitasking aggiustandosi il colletto, raddrizzando la cinghia della chitarra, cantando e suonando Devil in the Details (tutto questo dispendio di energie a scapito della sacra ravanata!). I pantaloni sono degni del corredo della figlia di Fantozzi da tanto son brutti ma hanno l’enorme pregio di mettere in evidenza tutta l’emozione e l’entusiasmo di chi li veste. E ieri sera c’era tanta emozione. E tanto entusiasmo. Cosa che, ovviamente, riempie il cuore di gioia. Purtroppo sul trucco ancora non ci siamo perché è sbavato già alla terza canzone (ma non una roba secsi, semplicemente una cosa colante lato occhio…), nonostante il nostro non abbia versato una goccia di sudore, mostrando un petto assolutamente asciutto e glabro fino a fine concerto.

Qualche considerazione sparsa:

Brian e i suoi plettri: per uno così geloso delle sue cosine, ieri sera è andata maluccio. Un plettro perso prima dell’encore (ha finto di tirarlo, ma secondo me gli è solo scivolato). Un plettro perso su Nancy Boy (e ti credo, a forza di simulare orgasmi al microfono pure il plettro non gliela fa più!). Un plettro sconosciuto su I Know: nella foga del momento, il nostro si trova tra le mani qualcosa di strano e ci mette un po’ a capire che è solo un plettro preso dalla parte sbagliata, quanta tenerezza!

Attacco Molsdal a tradimento: nel suo momento più adorabilmente scheccante su Lazarus, il nostro ancheggia come Julia Roberts in Pretty Woman verso Stef per aggiustargli la cerniera della giacca. Urla belluine in tutta la venue. E lui torna al suo posto ridendo come un cretino, perché è chiaro a tutti che è stato un gesto del tutto spontaneo e niente affatto costruito, vero?

Come ormai sanno anche i sassi, Protect me è stata fatta in inglese e non in francese. A me, sinceramente, poco importa nonostante le urla “Cialtronsssssss” provenienti da ogni dove. Anzi, devo dire che un po’ ho goduto dello scoramento dei francesi dietro di me che per tutto il tempo hanno urlato solo ed esclusivamente una parola: BRIAN!!!! Avete paura che si dimentichi il suo nome?

Ah, per la cronaca: il saluto Ladies and Gentlemen, and those of you who find yourself in between, detto in francese non ha lo stesso effetto. I francesi stessi, tutti muti. O forse Brian ha sbagliato la traduzione?

Insomma, tirando le fila di questo primo concerto, la conclusione è questa: io un Brian così non l’ho mai visto. Allegro, sorridente, in forma: insomma un piacere per gli occhi e per le orecchie. In più aveva tutti i suoi giochini nuovi sul palco, amplificatori, distorsori, forse anche dei pedalini nuovi: un bambino in un parco divertimenti. E vi assicuro che fa bene al cuore vederlo così. Fa anche molto bene al cuore osservare una complicità con il resto della band e soprattutto con Stef, che negli ultimi tempi era venuta un po’ meno. Sguardi complici e sorrisi non sono mancati, e se magari qualcuno era fatto ad hoc, la maggior parte aveva il sapero della sincerità e dell’amicizia.

Io invece, che pare abbia l’innato dono di ammaliare uomini della security in evidente sovrappeso, sono ancora in brodo di giuggiole. L’omone suddetto mi si è avvicinato con un bottiglione di acqua sussurrando una cosa che suonava più o meno come: certo che tu sei proprio in estasi…
Come faccio a spiegarti lo stato di pace che si raggiunge quando sorridi per due ore di fila? Ma sorridi proprio tanto. Ti sorride la testa, il cuore, la pancia. E le labbra ti si tirano talmente tanto che sembrano quasi volersi staccare. E hai quella felicità talmente profonda che ti fa venire il groppo in gola. Che per mandarlo giù, ti si bagnano gli angoli degli occhi. Come faccio a spiegarti il sapore delle lacrime di gioia? Come faccio a spiegarlo a te, che hai sbadigliato impunemente su Without you I’m nothing…

Come faccio a spiegarti che stamattina quando mi sono svegliata a un’ora che non dovrebbe nemmeno esistere, mi sembrava che ci fossero degli angeli svolazzanti fuori dalla finestre? Ok, erano le luci del cavalcavia… ma è l’effetto che conta, no?
E poi sorpresona: mi sveglio con un FUCK THE BUNNY, THE BUNNY IS FUCKED la nuova, dolcissima, playlist del nostro cantantino su Spotify. Va be’ ascoltiamola mentre si preparano i bagagli, dai non male, quasi allegra, a tratti pure divert… ah, ok, ho sbagliato playlist! (però, alla fine, non è male davvero!)

Dulcis in fundo: salgo sul taxi e parte la mia canzone preferita. Che no, non è dei Placebo ma è Eternal Flame delle Bangles. E io, fatalista e cazzara come sono, posso non prenderlo come un segno del destino?

La mia parentesi francese si chiude qui: breve ma intensa!
#seeyouinspain
#besttocome



Tim Tim Tim Tim Tim Tim Tim Tim Tim Tim Tim Tim Tim Tim Tim Tim Tim Tim Tim Tim Tim

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