26 aprile - Barcellona

“Yet there's still this appeal / That we've kept through our lives / Love, love will tear us apart again”  [Love will tear usa part, Joy Division]
(Ovvero di quando ti prepari per mesi alla primavera spagnola e ti trovi catapultata in un blocco spazio temporale che ti proietta di nuovo all’autunno scandinavo. Con immutato ardore insito. )


Le date spagnole sono state annunciate nel pomeriggio del 19 dicembre. In quello stesso giorno tornavo a casa dopo una rocambolesca falsa partenza e con un numero spropositato di concerti da smaltire. In piena depressione post gig e con una fame che Trimalcione pareva un dilettante. 

(per chi volesse un breve remind ecco l'articolo )

Dicevo… in preda a un turbinio di emozioni ho accolto l’annuncio del tour ispano-portoghese con il giubilo di un diabetico abbandonato in un negozio della Lindt all’outlet di Noventa di Piave. Finalmente il sole, finalmente il caldo, finalmente le mie vecchie ossa potranno smaltire tutto il freddo e l’umidità accumulati in questo autunno spaventosamente freddo. Il ricordo dei -10 gradi parigini mi appare ancora in sogno con le fattezze di Alvaro Vitali vestito solo di una pelliccia di yeti bianco…

Mi sono crogiolata in questa meravigliosa prospettiva tutta sole/cuore/amore per mesi, disinteressandomi totalmente di qualsiasi inghippo possibile.
Perché a me piace vivere così: un attacco di ansia alla volta.
Poi due giorni fa, con già la valigia pronta, decido di fare una cosa per me fuori dell’ordinario: controllare il meteo.
Dopo una serie di:
* ho sbagliato città
* ho scritto male
* questo iPhone mi minchiona (affermazione accompagnata da adeguato scuotimento dell’oggetto)
* questa app è farlocca. Controlliamone un’altra. E un’altra. Ok, ancora una…

Al dodicesimo controllo, mi arrendo alla ferale verità.
A BARCELLONA SI PREVEDE PIOGGIA E FREDDO.
A. BARCELLONA. FREDDO. PIOGGIA.
A. BARCELLONA.


È chiaramente un complotto. Del resto, è proprio di questi giorni la notizia che la Riverman, Brian Molko e la sua band in toto, tutta la crew (ordinaria e non) sono dei complottisti di prima linea, impegnati in un’annosa quanto sfinente attività volta a stalkerare, importunare e minacciare innocue e tenere fan.


Dopo aver recepito la notizia con l’aplomb che mi è proprio e aver esplorato nuovi territori di improperi sconosciuti ai più, disfo la valigia, mi rifornisco di calzini e biancheria e rimpinguo la bustina dei medicinali, soprattutto passiflora, biancospino, valeriana perché ormai è lampante che sono completamente fuori tempo e avrei dovuto nascere nell’ansiolitico anziché nei ruggenti anni settanta postwoodstockhiani. Mai, giuro mai, avrei pensato di partire per Barcellona, in primavera, con un PIUMINO...


Le manovre di avvicinamento alla città e alla venue sono state caratterizzate da qualche piccolo inconveniente:
* volo in ritardo di circa un'ora. Ritardo che il comandante ha pensato bene di recuperare sfrecciando tra le nuvole come un proiettile fuori controllo e regalandoci un atterraggio che mi ha riproposto il pranzo di Natale del 1983;
* come compagni di volo, anziché un auspicabile giovanotto spagnolo, il fato mi appioppa una coppia ucraina dall'alito quanto meno imbarazzante, frutto chiaramente di una colazione a base di storione marinato;
* La navetta di collegamento tra i due terminal dell'aeroporto ospita un baldo ragazzotto reduce da un Interrail durato presumibilmente alcuni mesi durante i quali l'uso di doccia e sapone non è stato contemplato. Un afrore di spazzatura occlude tutte le vie respiratorie, rendendo lo spostamento simile a un transito in un girone infernale;
* Al terminal 1, un cane di grossa stazza ha avuto un problema intestinale. Sicché, dall'inferno si passa in un lampo alle fogne di Calcutta;
* Mentre vago alla ricerca di un bagno, un tizio mi si avvicina e, senza motivo apparente, mi digerisce rumorosamente in un orecchio, sorridendomi;
* La stanza dell'albergo è grande e carina ma tra la camera e il bagno c'è un'escursione termica di circa 15 gradi. Il che mi costringe a una continua opera di vestizione e svestizione per evitare una broncopolmonite certa;
* Il mio vicino di stanza tanto carino, con cui ho avuto un fugace incontro la sera precedente, russa come una segheria in piena attività;
* Alle 5 del mattino, si accende d'improvviso la TV sparando a tutto volume una versione mariachi di Smell like teen spirit. Ci metto circa 10 minuti a trovare il telecomando e zittire i folli in costume;
* Confermando il sospetto che ci siano delle presenze strane che hanno deciso di rovinarmi il meritato riposo, una bottiglietta comincia a vibrare furiosamente nel frigo bar. Perché?
* Dulcis in fundo: piove. A Barcellona. A fine aprile. Piove. È il famoso Placebo Effect: la nuvoletta fantozziana ci fa un baffo!


Tralasciando una giornata in cui il picco di godimento è stato raggiunto mangiando un bocadillo con jamon serrano, tra un pettegolezzo e la correzione dell'ennesima "Spada nella roccia" arriva il momento di entrare. Finisco esattamente sulla linea di demarcazione Italia/Russia. Un consiglio: non fatevi ingannare dalle russe: per quanto piccine possano essere, hanno dei polmoni e una potenza acustica che frantumerebbero la barriera del suono. Infatti, credo di aver perso l'uso dell'orecchio destro in un punto non meglio identificato di Loud Like Love. Che è solo la seconda canzone.
La. Seconda. Canzone.


Il Razzmatazz è molto carino e piccino ma ovunque aleggia ha un odore davvero particolare: un misto di pipì e carne alla griglia che non lascia presagire niente di buono…

A questo punto è d’obbligo un ALERT grosso come una casa: questo tour avrà uno scarno repertorio fotografico. La security è cattivissima, non puoi nemmeno chiamare la mamma o il gatto, che ti minacciano di morte. E sono tutti molto, molto, molto grossi.


45 minuti di Digital 21: bravi eh, niente da dire, ma dopo soli due minuti ho le ovaie che, a forza di musica da disco tunz tunz tunz, mi sono arrivate all’altezza delle tonsille. E non è una splendida sensazione. Stef però ha un bell’outfit: gilet e maglia con le maniche lunghe e capelli raccolti a cipollina. Sta davvero bene, ma ho il sospetto che non durerà.


Lo smontaggio del palco è particolarmente complicato perché gestire lo spazio per 4 archi non è roba da tutti. Ma finalmente cominciano ed entrano i fotografi ufficiali: sono tantissimi e in men che non si dica mi trovo in seconda fila. Per fortuna sono ammessi solo per due canzoni!
Come immaginavo Stef ha sciolto la chioma fluente in quell’orrida codina alta, svelando anche un crespo poco curato. Che sia stato anche lui esposto alle intemperie spagnole durante la giornata?
Brian invece sfoggia la camicia a pois dismorfici che aveva fatto a sua comparsa a Tolosa qualche giorno fa. Poeticamente potrei dire che l’assoluta casualità della texture ricorda un cielo trapunto di stelle e che congiungendole una per una sicuramente verrebbe fuori la costellazione di Venere. 

La realtà è che quella cosa pare essere uscita direttamente dagli anni 70 per foggia e fantasia, molto probabilmente è un reperto bellico trovato al mercatino dell’usato di Shoreditch. Ma va bene, anzi benissimo: è giusto che un uomo così attento ai problemi ambientali si adoperi strenuamente nel riciclo del vestiario. Se poi si potesse pure procedere all’operazione “Usato sicuro per le fan attempate” io sarei anche più soddisfatta. A causa dell’eccessivo entusiasmo, il mio cantante si sputacchia più volte sulla suddetta camicia. Se domani non cambia outfit, qualche domanda, francamente comincerò a farmela…


La scaletta non cambia di una virgola, naturalmente. Ma loro sono molto carichi e il pubblico molto partecipe: gli spagnoli, ve li consiglio. Per la prima volta non ho preso nemmeno uno spintone, una botta, uno sfioramento casuale. Sono davvero calmi, perfetti!


Brian gesticola e chiacchiera moltissimo, strascica le vocali più del solito, ansima come un asmatico in crisi da Ventolin, inserisce varianti parlate a caso, dimentica le parole di Without You I’m Nothing biascicando cose incomprensibili, fa cantare il pubblico su 36 Degrees togliendoci così l’ennesimo orgasmo serale sul Dirty Sex, continua la sua stretta relazione con il microfono che appare sempre più l’oggetto prediletto per una futura reincarnazione. Insomma; uno show perfetto, divertente e sexy allo stesso tempo, benché l’acustica non sia al massimo. 
Ma direi che ci sta un bel CHISSENEFOTTEDELL’ACUSTICA?



Ah, Brian Molko mi ha parlato. Mi ha detto ben una parola: WEDNESDAY? Cioè voleva conferma che fosse mercoledì. Io naturalmente ho dato prova di grande intelligenza e sex appeal annuendo con lo sguardo beota di una lontra appena sveglia. Molto bene. In ben due anni Molko mi ha detto due parole: DESCULPE e WEDNESDAY. Di questo passo nel 2053 potremmo essere arrivati quasi a una frase compiuta, sempre ammesso che la dentiera ci consenta di articolare bene le parole. Bene, sto facendo passi da gigante.


Ah, se volete che Brian Molko posi il sguardo su di voi per più di 7 secondi seguite le seguenti istruzioni:
* lasciate perdere le scollature;
* dimenticate il trucco alla Kat von D;
* bruciate piastra per capelli e bigodini;
* state sotto la pioggia per ore in modo da sfoggiare una capigliatura alla “nido di chiurlo”;
* chiamate la persona più anziana che conoscete (nonna, mamma, zia…) e fatevi consigliare per lo shopping;
* andate su Amazon, sezione sconti al 70%;
* selezionate le camicie che costano meno di 5 euro (solo se avete Prime, se no lasciate perdere e fate la stessa operazione su Zalando);
* chiudete gli occhi della mamma/zia/nonna e fatele puntare il dito a caso sullo schermo;
* assicuratevi di avere scelto la camicia che normalmente destinereste al rusco;
* comprate;
* indossate con orgoglio davanti a Molko.
Vi assicuro che almeno per 10 secondi vi guarderà, molto probabilmente con raccapriccio, ma vi guarderà. Del resto, è il risultato che conta, no?


Ah, ricordatevi che Brian Molko capisce l’italiano. Quindi se per caso vi capita di aspettarlo fuori da una venue per un autografo, se vi succede di beccarlo con la luna giusta, se siete così fortunate che un tizio dietro di voi tenti di fargli una foto facendolo infuriare, se per puro caso comincia a prodursi in una sequela di puta madre che manco un torero infilzato, se siete così ardimentose da tentare di calmarlo, sappiate che basta un “Dai Brian, lascia stare”. La pace durerà i 10 secondi canonici dell’autografo e poi ricomincerà la ninna nanna dell’insulto. Ma del resto, anche questa volta, è il risultato che conta. Ah, per inciso, Brian Molko è in grado di fumare, insultare, firmare e reggere un cd nello stesso momento: non oso immaginare cosa potrebbe fare armato di aspirapolvere e straccio.


In conclusione, il mio #besttocome è arrivato e francamente potrei tornarmene a casa domani, felice come una vongola nel suo guscio.
Ma ormai siamo in ballo e quindi, balliamo!
Purtroppo le connessioni spagnole fanno abbastanza schifo, il clima è poco clemente (capitemi, è difficile scrivere sotto la pioggia battente…), quindi posso solo assicurare un:
#seeyousoonmanonsoquando!
LYA!

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