Madrid 29 aprile
“Here comes the rain again / Falling on my head like a memory / Falling on my head like a new emotion”
[Here comes the rain again, Eurythmics]
(ovvero di quando la condizione meteo ce la mette proprio tutta per trasformarti in un muschio ambulante facendo così impennare all’istante le possibilità di incontrare Brian Molko)
Dopo due giorni di pioggia battente e ininterrotta (sono indietro di una recensione [Barcellona, 27 aprile], lo so… mi farò perdonare!), che ha mandato a nuotare con pinne, fucile e occhiali anche l’ultimo neurone sano che mi rimaneva, lascio una Barcellona soleggiata, un cielo terso e limpido mai visto in questi giorni e per la prima volta da quando sono in Spagna azzardo un paio di scarpe senza calze. Arrivo in una Madrid altrettanto soleggiata con un debito di sonno che manco Al Pacino in Insomnia. Ma la giornata è talmente bella che si decide per un giro allo zoo, con il primario scopo di vedere i panda. Purtroppo una capra incinta si mangia metà della mia cartina per cui raggiungere la meta si fa più ostico del previsto. Dopo aver superato la puzza dell’elefante, le pulci delle scimmie, le gobbe molli dei cammelli e le urla belluine dei pavoni, la dolcezza nannolosa del koala, finalmente arriviamo ai pandini! E no, non ci siamo. Non so esattamente perché, ma mi han fatto una pena infinita: sarà stato il vetro, sarà stato l’ambiente che mi è parso poco curato… Insomma, una delusione, poveri pandini. Per fortuna prima di andare via ci imbattiamo nelle otarie che invece sono di una pucciosità paragonabile solo a una fan dei Placebo in piena crisi d’amor perduto.
Il programma per una travolgente serata all’insegna dello sballo madrileno prevede cena alle 7.00 e nanna alle 8.00. Questo chiaramente porta all’inevitabile conseguenza: alle 4 sono sveglia come un grillo. Dopo essermi rigirata per una buona mezz’ora prendo l’unica decisione sensata della nottata: vado in coda. Apro le tende e, sorpresa!, il diluvio universale! Forse che i Placebo hanno assunto un nuovo tour manager di nome Noè?
Nuotando arrivo alla venue che per fortuna ha uno spazio al coperto dove ripararsi e mi sistemo con gli altri avventori insonni. Una baraccopoli, praticamente. Alla richiesta fai una foto con noi rispondo: se mio marito mi vede in queste condizioni, il divorzio è assicurato. Fa un freddo cane, piove che Dio la manda, c’è vento. E siamo a Madrid. Alla fine di aprile. Così, tanto per ricordalo…In un momento di crudeltà, l’organizzazione della venue decide che le 3 del pomeriggio, dopo ore e ore di pioggia battente, sono un buon momento per intransennarci in mezzo a una piazza, senza il minimo riparo. Del resto, si sa, l’acqua piovana è utile per rendere più realistico il look cespuglio mal curato. Ha anche innegabili proprietà taumaturgiche: se vuoi provare l’ebbrezza di provare il dolore dei reumatismi sarai accontentato; se già li hai, invece, ti darà il colpo di grazia!
Ho un mal di gola fenomenale e decido avventatamente di procurarmi delle caramelle alla menta. Al ritorno il dramma: una coppia di giovani spagnoli mi ha carinamente fottuto il posto e non ne vuole sapere di spostarsi. Nel frattempo, continua a diluviare. Arrivano i rinforzi francesi, belgi, italiani e internazionale, ma nulla, questi non ne vogliono sapere.
A un tratto, la lei della coppia comincia inspiegabilmente a piangere e lì, mi sale il crimine. Lo spirito di Manson si impossessa di me e, giuro, faccio fatica a non metterle le mani al collo. In compenso scopro che quando mi incazzo, mi viene una parlantina in inglese piuttosto fluida. E mentalmente mi congratulo con me stessa…
Ora, che non fosse la migliore delle giornate si era capito dall’inizio: l’insonnia, il vento, la pioggia, il freddo e le brutte notizie dalle quali non puoi nasconderti e che ti raggiungono ovunque tu sia. Sono scoraggiata e, un po’ codardamente, abbandono il campo lasciando gli altri a combattere per me. Dopo un po’ mi comunicano che, con dolcezza e persuasione (due qualità impersonate da un avvocato americano di oltre due metri di altezza…), i due si sono finalmente spostati. Evviva!
Mancano solo due ore (le porte apriranno alle 8 p.m.). Due ore in cui se possibile, piove ancora più forte.
Poi, il miracolo: alle 7,55 esce il sole e questo ci consente di tirare fuori il biglietto senza ridurlo a una poltiglia di cartapesta.
Poi, il dramma: senza un vero perché l’organizzazione della venue ci indirizza dalla parte sbagliata, corriamo come dei centometristi asmatici su e giù per scale impervie, accompagnate da tutti i santi del paradiso tirati giù forzatamente. A un certo punto, mollo. Non ce la posso fare, l’età, le ginocchia storte, la sindrome da seno del tarso non mi aiutano. Ma come coach sono fantastica e così comincio a incitare, urlando come un’alouatta americana, l’unica persona che so che può farcela ad arrivare in transenna senza morire. E funziona, Usain Bolt al confronto sembra un anziano con il deambulatore! Quando vedo che la transenna è salva, pare che la mia espressione sia stata simile a quella di Paperone davanti a un giacimento di diamanti…
In armonia con la situazione meteo esterna, anche dentro fa un freddo polare. Probabilmente anche Pingu chiederebbe una copertina e io sento che non sopravvivrò a questa serata.
La prima nota positiva da ore si manifesta con l’arrivo della security: una versione bella di Alvaro Soler sarà l’addetto a badare alla nostra sopravvivenza per la serata. A volte, una gioia.
Il capo security si avvicina e ci spiega, un po’ costernato a dire il vero, che non possiamo fare foto (ma dai?) perché il cantante (ha proprio specificato the singer) non vuole (ma sul serio? E io che stupidamente pensavo fosse Fiona a non volere…)
Tanto per specificare che le gioie, quando sei fan dei Placebo, sono sempre effimere, il bonazzo gentile della security viene sostituito da un tizio scialbo, che non spiccica una parola in inglese e chiaramente affetto da cretinismo delle valli dal momento che cerca di aprire una bottiglietta con i denti rigirandosi il tappo in bocca e pensando probabilmente di avere un’espressione sexy. Peccato che abbia l’appeal del comodino di Pupo…
I 45 minuti dei Digital 21 passano discutendo dell’esile senso estetico della nostra band e di chi si preoccupa dei loro outfit. Capisco che non sia il modo migliore per supportare il progetto di Stef, ma cercate di capire… 15 ore sotto la pioggia proverebbero chiunque.
Stef scioglie la cipollina e torna sul palco… Spero che nel più breve tempo possibile qualcuno gli faccia capire che questa cosa che ha sulla testa non è elegante, non è portabile, non è utile (a meno che tu non riesca, facendo roteare velocemente la testa, a volare via come un novello Beany dell’omonimo cartone animato anni 70).
Brian sfoggia la camicia di Hogwarts, e io prevedo una situazione imbarazzante a breve. Vedremo…
Partono belli carichi (anche se devo dire che forse stasera Brian ha esagerato con il fard color pesca e il look “battonazza della Valassina” è pericolosamente in agguato), tanto che
il mio cantante comincia a limonare con il microfono alla fine di Loud Like Love, tipo 5,30 minuti dall’inizio del concerto. Se va avanti così prevedo almeno 12 cambi di sesso prima della fine della prima parte.
Vorrei ricordargli che raccogliere gli sputini dal microfono con il labbro inferiore è un reato, quanto meno è circonvenzione di incapace. L’incapace sono io, chiaramente.
Su Special Needs noto per la prima volta lo strano aggeggio utilizzato da Nick. Siccome non sono un’esperta di strumentistica, l’oggetto viene prontamente soprannominato “Calzanetto da chitarra”… Anche Brian sembra essere interessato e infatti si avvicina più volte per scrutarlo e controllare come scorra sulle corde… in prima fila si registra una pioggia ormonale paragonabile solo a un tifone tropicale.
Problema sputi: è assolutamente normale che un cantante sputi. A dire il vero tutti sputiamo, certo in maniera molto discreta, quando alziamo la voce. Che però Brian sia un parente stretto di un guanaco è ormai assodato. E che le parole che cominciano con la P siano potenzialmente pericolose, è un dato di fatto. Il PEOPLE di Too Many Friends ha già mietuto diverse vittime dall’inizio del tour. L’ESCAPE di Lazarus è però impareggiabile: una sputazza da olimpiade gli finisce direttamente sulla scarpa e, considerato che indossa di nuovo gli stivaletti bicolor, credo che la macchia difficilmente sparirà.
Al rientro dalla prima pausa sigaretta, prima di 20 Years, si materializza quello che avevo temuto all’inizio: la pezzatura sotto l’ascella è comparsa prepotente quant’altri mai. Brian sembra aver corso la maratona di New York. Due volte. Ma del resto, cosa volevi aspettarti indossando la stessa camicia inaugurata in Russia, a ottobre. Ok, non fa caldo… ma ci sono lo stesso quei 12-13 gradi in più!
I pantaloni con le cerniere, che secondo i pettegolezzi avevano subito un incidente a Barcellona, sono stati miracolosamente riparati (anche se non so se resisteranno alla mossa ninja su Infra Red…) e, anche se Brian continua a tirarsi giù la maglietta della salute, non possono celare il suo entusiasmo. Consiglio tuttavia per limitare il dispendio di energie in questo continuo aggiustarsi maglia/camicia/pantaloni, di provare a utilizzare le magliette con il bindello. Sono comode, stai sempre in ordine e coprono bene i reni dai colpi d’aria.
Aggiornamento sul molkese: ricordate che Soulmates Never DAIA, Burn AUAI e Run AUAI e Lost my UEI!
Per quanto riguarda le lyrics, il greatest fuck I ever had di Barcellona è ritornato ad essere greatest lay I ever had (che va comunque più che bene) e la Maggie di Slave to the Wage riguadagna il ruolo di witch a scapito del motherfuck bitch.
Escono dalla scaletta della serata:
* la presentazione della band (forse c’è stato un piccolo screzio, forse Nick si è mangiato il pranzo di tutti…);
* il siparietto dei giorni della settimana
Permangono nella scaletta:
* la presentazione del birthday party, anche in spagnolo fluente, con lieve inflessione paperesca;
* la divisione tra la sezione malinconica e quella allegra. Per intendersi, lo stacco tra il sonno e la veglia
Rientra in scaletta:
* a grande richiesta fa il suo ritorno in grande spolvero la RAVANATONA! Dopo due concerti di ammiccamenti impacciati, il nostro cantantino non ha più potuto resistere
e ha reintrodotto la sacra ravanata. A mani aperte, prima la destra e poi la sinistra per essere certi che ci sia tutto. Il controllo dell’integrità della parte si protrae per diversi secondi, finché anche la fan più coriacea non è costretta ad abbassare lo sguardo per l’imbarazzo e la conseguente espressione di beota beatitudine.
Il concerto in sé è stato bello, loro in forma e brian ha rischiato di cadere solo due volte per essersi attorcigliato il filo intorno alle caviglie (l’era del wi-fi è ancora lontana). Una nota di merito va data alla forma fisica del nostro: provateci voi a fare un salto a piedi uniti, toccandovi il culo con i talloni e tenendo una chitarra in collo. Io ci ho provato (senza chitarra) e ho pensato di dover chiamare il 35000 per tirarmi su.
Finito il concerto, usciamo… miracolosamente non piove. Cioè per intenderci… ha piovuto per tutto il giorno e ha smesso il tempo del concerto, quando eravamo al chiuso e riparati.
Approfittando del bel tempo, ci intransennano di nuovo (e io penso, che vita di merda, sempre appoggiata a un pezzo di ferro!) e un tipo molto gentile ci dice che usciranno presto a firmare gli autografi basta che nessuno faccia foto. E chi pensava di fare foto? C’è ancora qualcuno che non lo sa? Evidentemente sì, dal momento che quando Brian esce, individua immediatamente con il suo GOPRORADAR gli smartphone puntati verso di lui. E infatti gira i tacchi e sparisce nel tour bus in tempo zero. Confidiamo in Santo Stef? Confidiamo.
Ma… comincia a diluviare. Giuro a diluviare! Un acquazzone in piena regola. Tutto normale, ovvio. Il tuo bassista sta per uscire e tu sembri un pulcino appena uscito dal guscio. Poi pensi allo scoiattolo impagliato che per mesi si è portato in testa e concludi che, in fondo, siete pari.
Finisce di piovere e Stef, puntuale come un orologio svizzero ben tarato, esce e firma il firmabile, chiacchiera, sorride, fa foto… Insomma ci mancava che si mettesse anche ad abbracciare gli alberi per compensare la misoginia compulsiva del suo cantante!
E poi, improvvisamente si è fatto troppo tardi per fare qualsiasi altra cosa che mi separi da un letto e da un piumino. Mi sale di colpo la febbre e la fame (ricordatevi di non mangiare un club sandwich alle 2 del mattino, specialmente se dovete alzarvi dopo tre ore…). L’unica cosa che mi consola è che domani vado a Porto, al sole e al caldo.
Per scrupolo ricontrollo le previsioni meteo.
PIOGGIA.
APP: a Porto Piove.
La nube di Molkozzi continua a seguirci.
#singingintherain
#seeyouinporto
#LYA
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