“To the infinity... and
beyond!”
[Buzz Lightyear, Toy Story]
(Ovvero di quando ti spari
allegramente 10 ore di autobus per andare a parare in un posto dimenticato da
Dio e dagli uomini. Ma ben ricordato dai prosciuttari!)
“Logroño, in italiano Logrogno, è un comune spagnolo
di 151 344 abitanti, capoluogo della comunità autonoma di La Rioja, la
seconda più piccola delle 17 regioni spagnole. La città, bagnata dal fiume
Ebro, ospita quasi la metà della popolazione dell'intera regione. Situata nel
nord della Spagna, è stata storicamente un luogo di passaggio e di frontiera.
La via più famosa, il Cammino di Santiago di Compostela, porta alla scoperta di
Logroño i pellegrini di paesi lontani, entrando in città dal ponte sul fiume
Ebro. È la capitale gastronomica spagnola dal 2012.”
Questo è quello che
Wikipedia dice sulla ridente cittadina che ospiterà l’ultima tappa del mio
personale tour ispanico-portoghese. Quello che nessuno ti dice, è che Logroño è sperduta in uno spazio
temporale parallelo in cui c’è solo il nulla spinto. Che c’è un aeroporto non
funzionante se non nei mercoledì dispari degli anni bisestili e solo nei mesi
il cui nome comincia per Q. Che non ci passa nemmeno un treno a vapore trainato
da volpi in pensione. E soprattutto, che se venite da Granada, avete una sola
possibilità (escludendo naturalmente carri bestiame e dorsi di mulo): un comodo
viaggio in autobus di 10 ore.
Presagi nefasti cominciano
a manifestarsi quasi subito: il blog non si aggiorna e continua a caricarmi
imperterrito il countdown di Aaruhs.
L’immagine ha un grande 6 e domani è il 6. Saranno solo coincidenze, ne sono
certa. E il concerto ci sarà. Me lo ripeto come un mantra ma chissà perché, con
l’ottimismo che mi è proprio, comincio a non crederci più tanto.
E mentre scopriamo che i
sedili sono talmente stretti che persino un cantante lillipuziano non
riuscirebbe a trovare una posizione comoda e che il Wi-Fi, nonostante
un’eccellente partenza ci abbandona dopo soli 30 minuti (sapete cosa vuol avere
davanti 9,30 ore di viaggio incastrati come pezzi di Tetris senza Internet? Se
l’inferno esiste, deve essere così!), arranchiamo faticosamente verso la meta
agognata.
Con noi viaggiano 150
nuovi amici: i pañuelos. Alcuni di loro ci lasceranno, facendo una fine
onorevole, ma spero che molti arriveranno con noi fino a Logroño. Sì, perché se il mio cantante
ha il mal di gola, qui la situazione non è tanto più rosea. Raffreddore,
starnuti, tosse, mal di gola: ma del resto avendo affrontato un’escursione
termica di 20 gradi in due giorni, dopo aver preso 72 ore di pioggia battente,
dopo aver combattuto con germi grossi come triceratopi, mi sorprendo di non
essere in un letto di ospedale. Quello di metallo nelle celle frigorifere però…
Dopo esserci lasciati alle
spalle Madrid, il viaggio si complica. Ci stiamo arrampicando sulle montagne
percorrendo delle strade talmente strette che se incrociamo un ciclista è la
fine. Il paesaggio sarà anche bellissimo ma, a me che soffro di acrofobia e
vertigini, sembra molto simile a un girone
dantesco. Non so esattamente quanti chilometri percorriamo in queste
condizioni ma so che non potrebbe andare peggio.
E invece sì.
Comincia a piovere. Ma non
una pioggerellina primaverile rinfrescante, no! Secchiate d’acqua gettate con
una tale frequenza e violenza, che persino Noè non avrebbe saputo bene a che
santo votarsi.
Arrivare a quest’ultima
tappa si sta rivelando un remake di Highlander:
ne resterà soltanto uno. In questo caso, due.
A Logroño fa freddo e c’è un’umidità che farebbe increspare anche la
chioma di Yuko Yamashita. Figuriamoci la mia: un cespuglio che non vede un giardiniere
da decenni, praticamente. In più, mentre cammino, una tizia mi si avvicina e mi
dice di tenermi stretto il cellulare che ci sono un sacco di ladri in giro. To’ che bella notizia, adesso sì che
sono tranquilla!
Ripongo tutte le mie
speranze nel cibo: mica siamo in una capitale gastronomica?
E, finalmente, le cose
cominciano a girare nel verso giusto. Tanto per cambiare, croquetas e già questo mi rimette in pace con il mondo. Le seppie sono ambrosia pura e quando
arriva il polpo lo osservo con lo sguardo
innamorato che di solito riservo al mio cantate.
Dopo 10 giorni a pane e
jamon (buono eh, ma mi sto trasformando in un prosciutto pure io, come in un
film di Tim Burton…), sto avendo una sensazione pornogastrica. E poi,
diciamolo, con la fame appagata nel modo giusto, si affronta meglio anche il
pensiero che il prossimo concerto sarà anche l’ultimo, per un po’…
Arrivare in coda a
mezzogiorno è bellissimo: ci sono ben 2 persone. Xavier, un tizio sulla
cinquantina molto molto simpatico e Nuria, la giovane fidanzata che continuo
indefessamente a chiamare nutria… Vengono da Barcellona e confessano
candidamente di essere stati traumatizzati dal fatto che pochi giorni fa ci
fossero in coda un sacco di persone già alle 12. E così hanno deciso di
tagliare la testa al toro e arrivare… alle 8. A Logroño. Alle 8. Certo che il trauma deve essere stato davvero
pesante!
La prima cosa che imparo a Logroño è
che se ordinate un cappuccino e vi dicono che non hanno latte, specificate che
no, non volete del latte in polvere. Volete del latte, di mucca, capra, soya,
riso (insomma, quel che vi pare) ma allo stato liquido. Che poi, come sia
possibile fare un cappuccino con del latte in polvere è davvero una cosa che rifugge
leggi della chimica, della fisica e, soprattutto, dell’italianità.
La seconda cosa che imparo a Logroño è
che se pesi meno di 55 chili e la giornata è ventosa, meglio mettersi dei sassi
in tasca per evitare di finire dritti dritti a Bilbao. In compenso tra il sole
e l’ombra c’è un’escursione termica di circa 22 gradi: una ginnastica continua
per mettere e togliere in giubbino ogni tre passi.
La terza cosa che imparo a Logroño è
che ai logroniani non gliene può fregare di meno dei Placebo, tanto che alle
18,30 siamo in meno di 30. Ma avrei dovuto capirlo già dall’articolo pubblicato
sul quotidiano locale secondo cui i Placebo sono in 3 (!!!), Brian ha ancora i
capelli lunghi (magari…) e Matt assomiglia in maniera preoccupante a Steve
Forrest.
Arriviamo in transenna
passeggiando con una tale flemma che potremmo a buona ragione essere gli ospiti
d’onore della prossima edizione del Festival
della Lentezza. La morte provocata dal celebre cucchiaio assassino,
sopraggiungerebbe più lesta di noi. Ci
sistemiamo comodamente in transenna addirittura cercando il posto migliore per
ciascuno. “Preferisci un po’ più centrale?” “No guarda, io mi sposto un po’ più
a sinistra” “Ma prego, accomodati pure, c’è spazio” “Pizza per tutti?” A cinque minuti dall’inizio in parterre ci sono
3 file, pure larghe… Le tribune hanno un numero di spettatori paragonabile a
quello che c’era in una conferenza interessantissima che ho seguito poco tempo
fa Il giornalismo ambientale: il rapporto
tra chimica e agricoltura sostenibile: 4!
E mentre assistiamo, con
immenso rammarico, all’ultima performance dei Digital 21, in Italia succede
l’impensabile. L’imprevedibile. Quello che ti fa dire: ma cosa ci faccio qui?
FEDEZ CHIEDE LA MANO DELLA FERRAGNI. IN DIRETTA. DALL’ARENA DI VERONA. E io
sono qui a vedere per la settima volta quel tarantolato di Miguel che mi spacca
i timpani e mi secca le retine. Ho
ufficialmente perso la cosa più trash degli ultimi due anni. So che poi mi
passerà tutto, e sarò super felice di essere qui a Logroño, ma per ora mi accartoccio sul mio dolore immenso.
E poi entrano loro. Finalmente
posso ricominciare a respirare normalmente. Perché, lo ammetto, non è che fossi
proprio certa al mille per mille che questo concerto ci sarebbe stato. E
invece, guardala lì quella primuletta di stagione. Sgambetta per il palco e
strilla in quel microfono come se fosse reduce da una seduta di 48 ore alla
SPA. Io al confronto ho ancora il naso che mi cola, la voce di Bud Spencer con
la raucedine e una leggera emicrania che mi perfora insistentemente le tempie.
Insomma, una primula colorata e una gramigna un po’ avvizzita: non plettri, non
bacini, non occhiatine. Molko voglio i tuoi antibiotici, per Dio!
Piccole considerazioni
random:
SCIZZZZZ è la nuova parola
sexy di Loud Like Love, anche se
parte una sputata che il povero Xavier che è proprio lì davanti secondo me
maledice di non avere un ombrello (e credo che non mi chiederà più perché
preferisco stare un po’ più a sinistra!). Dopo aver incitato tutte le città
spagnole e portoghesi con un discreto entusiasmo con un CMONNN personalizzato
(credo che tutti si ricorderanno il CMON BARÇA per più di un motivo) qui
proprio non ce la fa. Ma del resto CMON
LOGRONO farebbe arrotolare la lingua anche a Pascal, il camaleonte di
Rapunzel!
Su TOO MANY FRIENDS assistiamo a una variazione di toni molto
interessante; probabilmente è solo il mal di gola ma lo SCIAMPSELISEI non
strillato fa molto paesaggio bucolico con rotolata nel fieno annessa.
SPACE MONKEY
(in versione stasera particolarmente lunga) rientra ufficialmente in scaletta e
si riappropria prepotentemente del suo trono
recentemente conquistato come interpretazione ad acceleramento di menopausa
provocato da una pioggia ormonale eccessiva: quel DAUUUUUNNNNNN alla fine è
tirato talmente lungo che le gambe mi si trasformano in pastafrolla molliccia.
Il bombardamento continua con EXIT
WOUNDS: benché io non apprezzi particolarmente questa versione molto
teatrale, devo dire che stasera ha un suo interessante perché. E io lo so
cos’è: è che ho già la nostalgia! E MAI TAIAM (unitamente al tempo che ti
prende anche se corri FESTER) entra ufficialmente nel dizionario Molkse/resto
del mondo.
E poi il colpo di grazia:
la migliore 36 DEGREES mai sentita.
Giuro. I numeri scanditi lentissimamente, quel 1 4 così roco da incantonamento
istantaneo, tutto così sussurrato che anche il pubblico è ammutolito. Certo,
non c’è più la partecipazione degli astanti che si sgolano su “Shoulders, toes
and knees” ma, come dire?, fottesega!
E poi il colpo di grazia, quel DIRTY SEX ansimato che ti spezza il fiato, che ti
fa venire anche un po’ il magone e che ti resta lì, incastrato sotto lo sterno,
come un’indigestione di aragosta. Difficile sopravvivere e uscirne indenni.
Finalmente la pausa: mi
sembra di aver fatto la traversata dell’Atlantico a rana. Invece il mio cantante
pare essere particolarmente allegro e ridacchia per inspiegabili motivi (che
scoprirò purtroppo a mie spese).
Schivando in maniera
piuttosto rocambolesca un tonfo sul palco causato da arrotolamento di filo
intorno alle caviglie e colpi di tosse che danno un tocco rap a FOR WHAT IT’S WORTH, arriviamo a SPECIAL K. Parliamo di una canzone del
2001 che raramente è stata esclusa dai live. Parliamo di una canzone che Molko
dovrebbe cantare senza nemmeno usare un neurone e suonare con le manine legate.
Per quanto la scena possa essere interessante, la verità è che stasera Special
K comincia così: On this coronary thief, sguardo perplesso al pubblico (eh ma
tesoro santo, se non lo sai tu quel che scrivi, io come posso aiutarti?),
parapappapararà, ciancicata, just a leitmotif… Forse sono i prodromi di una
nuova versione, chi può dirlo?
Poi, come sempre in un
attimo è finita. E a pochi minuti prima delle ultime note di RUNNING, la follia dilaga alla stessa
velocità di un’epidemia di sifilide in una prigione della bassa bergamasca. Una
tizia, planata da non si sa dove, comincia a urlarmi fortissimissimissimo nello
orecchie: BRIAAAAAAAANNNNN, BRIAAAAAAANNNN, BRIAAAAAAANNNNNN. Oh, ma mica mi
pagano per perdere vista e udito in una sera sola! Via, veloci come dei petauri
davanti a delle zollette di zucchero, guadagniamo l’uscita!
(Piccola parentesi di
riflessione. Dopo la campagna LAVATEVI, LA PUZZA NON è ROCK, mi sento di sponsorizzare anche lo slogan: NON BEVETE, IL VOMITO NON è ROCK! Soprattutto non bevete tipo un litro e
mezzo di Tevernello Rosso e limone. Non lo reggerebbe nemmeno un camionista
croato. E la puzza fa davvero schifo, soprattutto se mi vomiti a mezzo
centimetro, che poi ci tocca pure chiedere l’acqua per pulire. Soprattutto non
vomitare davanti al tuo cantante che se prima ti guarda ridendo davanti a
un’espressione non proprio sveglia, poi ti fa un lancio di sopracciglia
disgustate da competizione olimpica. Per pietà, non bevete. Cioè fatelo dopo se
proprio non potete resistere. Ma non vomitate sui fan, non è per niente
carino.)
Aspettiamo un po’ fuori
anche perché fa piuttosto caldo (strano!) osservando una tizia della security
che cerca di incerottare i tour bus e intransennare noi con il medesimo nastro
bianco e rosso… Chilometri e chilometri di nastro per poi scoprire che la
transenna fa acqua da tutte le parti e Brian avrebbe dovuto fare un salto alla
Olio Cuore per entrare nel bus: misteri della logistica. In tutto questo casino
sperare che si fermi e credere alle parole di Giacobbo hanno la stessa valenza.
E, infatti, esce, fa un sorriso e un cenno di saluto e sparisce. Io sono
completamente cotta ma realizzo una cosa: aveva addosso una giacca verde
militare e soprattutto un paio di jeans blu scuro di taglio maschile non
aderenti che gli fanno pure le gambe lunghe. Allora quest’uomo ha dei vestiti!
Allora se vuole riesce a non sembrare né un profugo né un controllore. Allora
c’è speranza che prima o poi i pantaculandra finiscano nel bidone del rusco!
Del resto, hope is
important. E con questa nuova fiducia nel futuro, il mio tour spagnolo termina.
Torno a casa stanca, malaticcia, ingrassata, chiedendomi dopo Aarhus, Zottegem
e Logrono quali altri amene località ha intenzione di propinarmi la mia band.
Ma, come sempre, torno a
casa satura di emozioni che ci metteranno un bel po’ a sparire.
Infatti, questo post esce
a un mese di distanza da quel 6 di maggio. In queste settimane sono successe
tantissime cose, tutte brutte purtroppo. Tutte cose che cercano di trasformare
quello che per molti è il più bello dei sogni, in un incubo. È successo
Manchester, Londra, Torino… anche l’Australia. E, per la prima volta, ho
davvero paura e tutto l’entusiasmo che avevo per Taormina si sta sgonfiando
come un palloncino.
Poi però succede davvero
l’incredibile. Succede che la mia band annuncia il mini tour autunnale. E sale
l’adrenalina, la foga del planning, l’ansia da prestazione, la frenesia nel
controllare le venue, il pianificare tutto nel minimo dettaglio ancora prima di
avere un biglietto fra le mani: insomma succede
la felicità! E questo vince su qualsiasi odio e qualsiasi paura.
Solo un piccolo appunto:
va bene che chi è stato a Logrono può fare qualsiasi cosa, ma Wolverhampton?
Seriamente?
#SeeyouinTaormina
#itwillbemagic
#ontheroadagain
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