TARANTO - 8 giugno 2018

Una rotonda sul mare, il nostro disco che suona…
[Una rotonda sul mare, Fred Bongusto, 1964]
(ovvero di quando non ti aspetti nessun cambiamento ma la comparsa di un iPad e di un baby mullet, ti fanno ritenere l’ipotesi di una tarantella riarrangiata perfettamente plausibile)


Quando è uscita la data di Taranto la prima cosa che ho pensato è stata: evviva, ci vado!
Poi ho fatto qualche ricerca e, dall’entusiasmo iniziale sono passata rapidamente a insulti di disneyana memoria: “Inganno, slealtà, sul viso ha i segni della malvagità. Inganno, oltraggio, vergogna, viltà!!!” Cialtroni, non avevate detto che per quest’anno non facevate nulla. E poi: “Sì Londra, ma solo perché l’ha chiesto Robertino nostro”. E poi, giù date come se non ci fosse un domani.
Taranto, parliamone. Io non ho nulla contro di te ma, a conti fatti, faccio prima ad andare alle Maldive. E con mezzi di fortuna.
No, non è fattibile dai.
No, e poi per 15 euro faranno a stento il ritornello di Jesus’ son.
No, no e no.
Stavolta sono decisa.
12 ore dopo…
Amica su Whatsapp: “Hai già deciso dove atterrare?”
Io: “Bari. Ho preso il biglietto poco fa. Aereo e treno. Arrivo nel primo pomeriggio. Ci vediamo per un aperitivo sul lungomare?”
Sì, perché in fondo, a me, le Maldive non sono mai piaciute…

Devo dire che l’avventura pugliese ha manifestato una buone dose di sfiga già al momento dell’acquisto del biglietto.
Tutta baldanzosa, infatti, assicuro all’amica straniera che glielo avrei procurato io, dal momento che farselo spedire all’estero equivale ad accendere un mutuo per una villa trifamiliare sui Colli Euganei con vista mare. Del resto, a Milano ci sarà pure una rivendita per questo benedettissimo festival, no? Eureka, ce ne sono ben due, zona Duomo. Perfetto, dopo il lavoro ci vado.
Primo tentativo: pioggia torrenziale, percorro la galleria Vittorio Emanuele la bellezza di 8 volte senza trovare il rivenditore.
La mia seconda opzione si trova dall’altra parte della piazza e questo è un bel problema dato che sono piccionofobica e quelle creature dI Satana infestano imperterrite la città nonostante il diluvio. Dopo svariate crisi isteriche, approdo all’ingresso della Mondadori grondante come se avessi appena fatto una Ice Bucket Challenge e naturalmente lo sportello è CHIUSO.
Secondo tentativo: caldo tropicale, vado dritta alla Mondadori. Sportello CHIUSO PER SCIOPERO (WTF????). Attraverso la piazza saltellando e lanciando urletti striduli sempre all’indirizzo delle creature volanti demoniache e ricomincio la ricerca del secondo rivenditore. Lo trovo, evviva. Ma lo sportello è VUOTO. Chiedo informazioni a una commessa. “Eh no il ragazzo è andato in bagno… Circa mezz’ora fa… Sa… (sguardo circospetto e complice)… dissenteria…” Aspetto? Aspetto. Nel frattempo c’è la presentazione di un libro di cucina. Il cuoco è un tipo strano, urla ed è paonazzo. Gli astanti sono terrorizzati e a stento respirano. A un certo punto, questo genio dei fornelli punta un dito verso di me. “LEI!” Gesù, aiutami. “Sì, lei! Lei, per esempio, lo mangerebbe un gelato alla merda?” “Ehm, no!” “Vedete? Tutti questi preconcetti, preclusioni mentali. Siete tutti degli ottusi. E perché? Sentiamo. Perché non lo mangerebbe?” “Veramente, non mi piace il gelato” E L’IMBRATTA PADELLE STELLATO, MUTO! Nel frattempo torna il ragazzo della rivendita, oggettivamente bianco come Bela Lugosi. Un’apparizione lampo, mi guarda e scappa di nuovo, presumo al bagno…
Terzo tentativo: piove con il sole, ottimo. Ritento con la seconda rivendita sperando che il ragazzo si sia dopato con i fermenti lattici.
Io: “Ciao, hai i biglietti per il Medimex?”
Ragazzo Pallido: “No, ma se ti serve ho del Lactoflorene”
(cominciamo bene…)
Io: “Mi fa piacere, ma io volevo i biglietti per il Medimex”
RP: “Non lo conosco, proverò!”
Io: “Biglietti. Concerto. Puglia. Riprova”
RP: “Ahhhhh, vuoi dei biglietti! Eccolo, sì ce l’ho! Fico, vai a vedere i Krafwerk?”
Io: “Ehm, no”
RP: “No? Peccato! E quindi che ci vai a fare?”
Io: “Senti, dammi un biglietto. Per l’8. Non farti domande…”
RP: “Placebo? Mah secondo me è sempre meglio il Lactoflorene.”
(Ma ti venisse una cagarell… ah no, hai il Lactoflorene!)

Con queste premesse, tutto quello che è accaduto dopo non avrebbe dovuto minimamente stupirmi:

  • Il bus che mi deve portare a Taranto ha il beneaugurante nome di “Scoppio di sabato”: per fortuna è solo giovedì!
  • Il biglietto costa 9,50 €. Ma facciamo 9. Per lei 8,50! Il prezzo va a sentimento! Ah, ok!
  • Conversazione con il tassista sulle dimensioni della Rotonda sul Lungomare: “Guardi, la Piazza è enorme, gigantesca. Ci stanno almeno almeno 50mila persone. Forse anche 100mila!” (Ellapeppa, la piazza Rossa in confronto è uno spiazzo da oratorio!) “Guardi, per farle capire, vede questa? Ecco la piazza della Rotonda è il doppio” e con queste parole il tassista si ferma di fronte a quello che a Milano è lo spazio normalmente adibito a un recinto per cani. Ah, ok!
  • Sempre il tassista: “Ma non vi preoccupate, stanno già mettendo giù le sedie!” “Sedie? Quali sedie?” “Per i concerti, no?” “No, guardi che forse si sbaglia. È impossibile che ci siano delle sedie.” “Ne sono più che certo. Le sta mettendo mio cugino” Ah, ok!
  • L’albergo ha un ingresso opulento, colonne e pavimenti in marmo riflettente, scalini in granito pregiato, piante di edera rigogliose spuntano anche sui lampadari e i portachiavi hanno il peso specifico di un tondino in piombo con cui potresti tranquillamente uccidere chicchessia. Poi arrivi in camera ed è subito “Addio 2018, bentornati anni 70”: copriletti in cotonina trapuntata con stelle marine, lenzuola inamidate colonia style, condizionatore vintage, frigobar su rotelle rivestito in linoleum rigorosamente vuoto. Ma soprattutto, non c’è una presa che sia una in tutta la stanza. Del resto, negli anni 70, non c’era bisogno di caricare alcunché. Quindi il cellulare, lo attacco in bagno alla presa dell’asciugacapelli. Ah, ok!
  • Incontro in ascensore una tizia con un biglietto Medimex in bella evidenza. Non ce la faccio, la “questione sedie” mi tormenta. Devo sapere! “Sedie? Ma quali sedie?” risponde la tizia sotto choc come se le avessi proposto di strangolare dei gattini! E poi mi racconta che nel primo pomeriggio i Kraftwerk hanno fatto il sound check e, per sbaglio, lei ed altri fan sono stati “intransennati” in piazza. Quando la band se ne è accorta, è scesa dal palco e… selfie, autografi, foto, baci e abbracci con tutti. Ah, ok!
  • Andiamo alla Rotonda proprio quando stanno aprendo i cancelli: in coda sono in 10, con ordine e calma si dirigono ai controlli, passeggiando come se stessero facendo lo struscio in centro il sabato pomeriggio, si dirigono in transenna. Gli manca solo una flûte di prosecco e un ombrellino in pizzo per proteggersi dal sole per riprodurre un Monet di tutto rispetto. Sentiamo il dovere di avvisare gli omini della security: “Lo sapete che domani non andrà esattamente così, vero?”
  • Dopo essere riuscita a consumare una cena a base di pesce banalotta e cara in un luogo di mare, decido di andare a dormire per prepararmi spiritualmente e fisicamente al giorno successivo. Naturalmente non chiudo occhio e dopo essermi rigirata ininterrottamente per ore come una cotoletta nella farina, mi alzo e vado a vedere se c’è già qualcuno in coda, passeggiando per una città che all’alba è deserta come una discoteca alle 10 di sera, ma in compenso ha già i bar aperti.
  • Due ore dopo, alle 7 del mattino, ho già ingurgitato 2 caffè e allestito un luxury camp di tutto rispetto con gli altri mattinieri. Per fortuna c’è la brezza, il profumo del mare, gli alberi: persino l’Ilva sullo sfondo ha un che di romantico.
  • In mattinata cominciano a circolare gossip di varia natura: dalla lista delle richieste della band (si mormora che in pole position ci siano 4 polli arrosti, 1 tonnellata di hummus e del miele di Manuka. Ora, voglio dire, siamo in Puglia, al mare: chiedere delle cozze pelose, delle orecchiette alle cime di rapa, dei pasticciotti sarebbe stato troppo facile vero? Chiedere una roba del genere a Taranto è cattiveria pura, è voler far licenziare qualcuno: e per fortuna esiste Amazon Prime!), al probabile orario per il sound check. C’è chi giura di aver visto Fiona, e alcuni addirittura si sono fatti fare l’autografo da Steve Forrest. I fan, quelli veri…
  • Verso mezzogiorno in effetti fanno un sound check: in preda ad allucinazioni da mancanza di sonno, c’è chi è pronto a garantire di aver visto Molko cantare appollaiato su un amplificatore coperto da un telo nero. Il che, con i 40 gradi percepiti al sole, è assolutamente plausibile. La verità è che non solo Cantantino e Spilungo non ci sono ma, pare, che anche Angela sia stata contagiata dal terribili morbo fansintomatico il cui sintomo più evidente è un desiderio insopprimibile di fuggire il più lontano possibile non appena si ha sentore di fan all’orizzionte. Vi ricordate cosa ho scritto poco più su in merito al sound check dei Kraftwerk? Ecco, appunto…
  • L’ingresso è gestito naturalmente in maniera disastrosa grazie al connubio micidiale security inadeguata e fan invasati. Per fortuna, dopo una corsa che francamente non facevo dai tempi delle scuole medie e dopo aver quasi sputato un polmone, arrivo a meta. Questo tuttavia non mi fa esimere dall’esprimere un giudizio del tutto negativo sull’organizzazione: incapaci di contenere la gente, incapaci di organizzare un minimo di ordine, incapaci di ascoltare i più logici consigli. Ora, voglio dire, ma quando avete visto che da dietro cominciavano a spingere come dei dannati, che cavolo di senso ha avuto bloccare i primi e lasciar passare tutti gli altri? Eppure non ci vuole una laurea per capire che, in situazioni come questa, la cosa migliore da fare è far entrare la gente a piccoli gruppi. Tanto erano solo le 17. Il primo gruppo cominciava a suonare alle 20.30. In 3 ore c’era tutto il tempo per fare in modo che la coda si smaltisse in maniera ordinata evitando liti, pestaggi e gente che si è fatta male correndo.


DUE PAROLE SUI GRUPPI DI APERTURA:

KIOL (che ho incessantemente chiamato Kylo): un ragazzino piccino di Torino, delizioso. Armato solo di chitarra e bottigliette di acqua mi ha incantata con la sua voce, la sua umiltà e il suo talento. Un po’ troppo country forse, ma decisamente gradevole. Voto: 7 ½

Nel frattempo si è alzato un vento piuttosto interessante che ha sollevato il telone copri struttura fin sul palco che ha praticamente coperto tutto per un’altezza di 1 metro e mezzo. Fisso la scena terrorizzata: a Brian questa cosa non piacerà affatto. Lo vedo già pronto a giocare a Bidibibodibibu e il cantante non c’è più…

CASINO ROYALE: vi ricordate di quelli che alla fine degli anni 80 cantavano Someone Says, vi ricordate di quelli che facevano ska pesante, vi ricordate di Giuliano Palma? Ecco, bene, dimenticateli. Questo è un gruppo nuovo, che fa qualcosa di non ben definito ma che a me, personalmente, non piace un granché. Sicuramente non ci capisco molto, ma dopo due canzoni avevo mal di testa, dopo quattro speravo esplodesse un aplificatore e dopo sei ho iniziato a pregare in un miracolo e che la mia acqua si tramutasse in vodka. Voto: no

Tralascio di approfondire gli interventi dei ragazzi di Lercio, che sono stati a tratti anche gradevoli: cercateli su Facebook.

Finalmente cominciano ad allestire il palco e a un certo punto noto delle strane protuberanze attaccate al microfono molkiano. Mi si ferma il cuore: vuoi vedere che stasera ci suona “Una rotonda sul mare” con l’armonica. Ah, no, montano un maxi iPad. Ecco, io quando nel pomeriggio dicevo che sarebbe stato contento di cantare da remoto e al suo posto sul palco ci sarebbe stato un iPad stavo scherzando. Del resto non posso credere che il mio cantante sia così rimbambito da non ricordarsi una scaletta che è immutabile da 90 concerti! Chissà, forse ci leggerà dei passi di Coehlo di cui il post pomeridiano è stata solo una ferale anticipazione. A tal proposito, per la tranquillità di tutti, vorrei proprio ricordare un articolo comparso su Lercio qualche anno fa: “Si imbatte nell’ennesima citazione di Paulo Coelho e diventa serial killer!”

Dopo interminabili minuti di entertainment di vario genere, si spegne tutto: siamo pronti, la mente è già tarata sulla prima nota di Pure Morning, i piedi si stanno già muovendo per saltare quand’ecco che, inaspettato come un nubifragio estivo, parte a tutto volume un mantra stile kundalini. Gesù, aiutami. E se questi adesso mi escono rasati e vestiti di arancione, io cosa faccio? A me quel colore sta di merda!!! Se lo scopo era quello di predisporre gli animi, be’, non ci siamo! Lo sconcerto è generale: visioni apocalittiche di Molko che guida una carovana di monaci buddisti sono tuttavia più realistiche rispetto alla frase che sento distintamente provenire da dietro: “Che figata, è il nuovo singolo!”
Ma poi tutto rientra nella normalità e si comincia sul serio.

PURE MORNING: siamo di nuovo in total black look, ottimo. Stef ha raccolto lo scoiattolo e sta molto bene (forse ancora un pochino più magro di prima, roba che ti viene voglia di allungargli un panino con la cotoletta...). E poi, tò, Brian entra con un animaletto sulle spalle… forse un gattino, forse un furetto… Oh boia, sono i capelli! 
Non capisco… mi ci vuole qualche minuto per metabolizzare il cambiamento perché, in fondo, a me il caschetto playmobil piaceva un sacco. Pochi istanti ed è subito 2004: un mini mullet in piena regola. Ora, a me il mullet ha sempre fatto cagare e lo ribadisco. Tuttavia, essendo gli alettoni laterali la cosa più disturbante di quello scempio tricologico, non posso che apprezzare questa nuova versione. Apprezzo altresì l’abbandono, spero eterno, della tinta al catrame in favore di un colore più naturale che tuttavia non ho capito bene come sia dato che le luci mi hanno praticamente bruciato la retina. Spero ci sia del grigio, ma francamente mi riservo di capirlo meglio in altra sede. Voto: non sono in grado di giudicare serenamente a causa della distrazione provocata dal nuovo look, tuttavia, sulla fiducia do un 9 ½

LOUD LIKE LOVE: ci siamo, la voce è tornata se possibile più pulita di come era prima dell’incidente autunnale. Brian sorride, lancia plettri, strascica vocali come la più lasciva delle entraîneuse fino al LOVE finale talmente prolungato da mettere in imbarazzo anche il microfono. Voto: 10

FUNNY MOMENT: Molko saluta ed esordisce con un: “Buonasera a lei (???)” E poi, dal nulla, la solita frase in cui in realtà di comprensibile ci sono solo tre parole: “Casa. Colizioni. Farfalle”, il tutto inframmezzato da ehhh, ohhhh, ahhhh. Ora, rispetto a 7 mesi fa la dizione è leggermente migliorata, tuttavia a suo tempo la frase fu più completa e comprensibile. Una cosa però devo dirla al mio cantante: solo perché a Dundee non ho risposto con il debito entusiasmo al tuo invito, non era proprio il caso di invitare altre 10mila persone. Così, per dire…

JESUS’ SON: insomma a me piace! Peccato che stia cominciando a piovere… Ah no, è il sudore che cola dal braccio del ragazzo che sta dietro di me direttamente sulla mia testa. Orrore e raccapriccio… Voto (alla canzone): 8 ½

SOULMATES: Bello vedere e sentire sgolarsi su questa canzone proprio le persone che non più di due ore prima sono letteralmente passate sopra ai cosiddetti solumates* per conquistare un posto più avanti. Ah, la coerenza…
Passo interessante dell’esecuzione è il fatto che Molko mostri le terga al pubblico. Questo mi permette di notare due particolari:
  • il mio cantante indossa degli slip troppo stretti, che gli segnano le chiappe. La cosa in sé non è per nulla sgradevole alla vista, ma immagino non particolarmente confortevole;
  • il taglio di capelli alla Limahl (ricordate il tizio dalla capigliatura imbarazzante che cantava Neverending Story?) se visto di fronte ha un suo principio di perché, da dietro è un gigantesco NO! La somiglianza con la coda di un colibrì incrociata con un pennello per illuminanti è, francamente, inquietante… Voto: 8

SPECIAL NEEDS, TOO MANY FRIENDS, 20 YEARS: qui raggruppate per comodità. Nonostante l’esecuzione subisca un’accelerazione che manco fossimo nel tunnel del CERN, nonostante su 20Y ci sia stata qualche incertezza sui testi e nonostante le due sigarette fumate nel frattempo, direi che si meritano un bel 7/8!

DEVIL IN THE DETAILS: “I've been wasting…” 3 parole e mezza e io già non capisco più niente… Non so nemmeno esattamente cosa stia succedendo: mi fa male la pancia e non è perché da dietro spingono come se dovessero sfondare la Cintura di Melian. Ora però so esattamente cosa ha fatto Molko in questi mesi di assenza: ha preso ripetizioni di ravanata! E se questi sono gli effetti dei SYNTH PORN, ma ben vengano. Una cosa però: cortesemente TOLGLIETE DALLE PALLE QUEL CACCHIO DI IPAD! Ora, Brian, parliamone: tanti rimbrotti a chi usa l’iPad durante i concerti perché tutti hanno il diritto di vedere e poi monti un aggeggio infernale da 247 pollici che copre le pudenda? No, ma scherziamo? Guarda che io il biglietto l’ho pagato e quindi pretendo di godermi la sacra ravanata come tutti! Voto: 12

EXIT WOUNDS: la carica feromonica non accenna a diminuire. Brian abbraccia la chitarra, se la fa scivolare addosso, ci fa del sesso che Christian Gray scansati proprio inscenando una perfetta esecuzione delle 50 sfumature di Molko. Voto: Magna Cum Laude, tappeto rosso e bacio accademico.

PROTECT ME FROM WHAT I WANT: deliziosa anche se in francese l’avrei preferita. Consiglio al pubblico: non capiterà mai che i Placebo accontentino una richiesta dei fan. Tuttavia se, come me, preferivate la french version, forse era il caso di manifestare questo desiderio prima e non dopo la fine della canzone… Voto: 8

WITHOUT YOU I’M NOTHING: Eccellente, il primo genuino momento di unione che vedo tra B. e S. Voto: 9

FOR WHAT IT’S WORTH: finalmente i pogatori seriali hanno un motivo per dimenarsi. Io perdo il contatto con il terreno e la sensazione di fluttuare non è per nulla magica! Ma posso capirlo. Sicuramente posso comprendere e giustificare più questo pogo che quello fatto su Without You I’m Nothing! Voto: 9


SLAVE TO THE WAGE: allora, io della scaletta non mi lamento maimaimaimai! Tuttavia, tenere questa e segare 36 Degrees e Nancy Boy è una scelta che faccio molta fatica a comprendere… tuttavia, dopo ben 13 canzoni, mi accorgo che Molko indossa un bracciale nuovo: di cuoio a doppio giro e con una placchetta. Rivaluto immediatamente la mia personale idea sugli uomini che indossano bracciali. Voto: 6/7 (ma con affetto), 10 al bracciale.

SPECIAL K: scompare, purtroppo, la mossa ninja. È una grave perdita determinata, suppongo, dalla taglia sbagliata degli slip di cui sopra. Voto: 8

SONG TO SAY GOODBYE: non è cosa saggia fumarsi la quarta sigaretta in poco più di un’ora. Due colpi di tosse per fortuna scongiurano più devastanti conseguenze. Voto: 7 ½

THE BITTER END: la stanchezza comincia a farsi sentire e becchiamo due piccole stecche, niente di trascendentale per carità… per altro il pubblico urla talmente tanto che dubito se ne siano accorti in molti. La leccata di microfono finale, tuttavia, risolleva il voto che si assesta su un bell’8 pieno!

INFRA RED: una mossa teiera appena accennata e molti you persi per strada. Peccato per l’assenza dei video che su questa canzone in particolare creano un’atmosfera verdognola e surreale. Voto: 7

(RUNNING UP THAT HILL): si cavalca verso la fine a spron battuto. Sembra quasi non vedano l’ora di finire e, francamente, un po’ li capisco. È tardi, fa freddo e ci sono in giro nugoli di zanzare (o comunque moscerini urticanti). Voto: 6/7

FINALE: viene finalmente svelata la vera funzione dell’iPad che, chiaramente, non era solo quella di occultare mezzo cantante. Sparisce infatti una delle parti più carine dello show: Molko non ci mostra più il posteriore giochicchiando con gli amplificatori e proiettando il suo faccino sui maxi schermi. Ora fa tutto con il touchscreen dell’iPad. Per me è un NO colossale. Invoco a gran voce il ritorno dei bei tempi (mi va bene anche uno smanettamento alla pedaliera)!

GIUDIZIO FINALE: nel complesso, uno show ben fatto. A voce ci siamo, l’acustica tutto sommato buona (non è vero che il microfono di Brian è regolato male, il fatto che faccia cenni al tecnico durante le prime canzoni è un vezzo che si porta dietro da che ho memoria). Sono contentissima del fatto che chi li vede poco o chi ha appena imparato a conoscerli abbia potuto godere di un concerto sicuramente di ottimo livello portandosi a casa un bel bagaglio di emozioni. A me, personalmente, è mancato qualcosa. Qualcosa che ancora non so ben identificare. Per cui, per ora, il giudizio finale è sospeso.

E QUI COMINCIA LA PARTE DAVVERO NOIOSA

Piccola parentesi sul pogo.
“Ho pogato abbestia, per tutto il concerto, ma con rispetto per altri. Non lamentatevi: questo è un concerto rock, non di musica classica!”
CHE CAZZO STATE DICENDO?
Ma voi non avete nemmeno la più pallida idea di che cosa significhi “pogare”. Il pogo serio, fatto bene, nei più grandi concerti metal ha regole ben precise: si fa in un’area definita, generalmente circolare, a metà parterre più o meno, senza coinvolgere chi non vuole e su determinate canzoni.
Quindi vi chiedo: il senso di pogare su Loud Like Love o Protect Me, qual è? Avreste pogato anche su un notturno di Chopin.
Il senso di pogare per tutto il concerto, qual è? Se avete bisogno di fare attività fisica, andate in palestra.
Il senso di pogare in seconda fila, qual è? Lo sapete o no che davanti a voi ci sono delle PERSONE e voi le state schiacciando contro un aggeggio di ferro, duro e inamovibile comunemente noto come TRANSENNA?
Ve lo dico io il senso di tutto questo: rompere il cazzo e far male alla gente. Nient’altro!
E per chi mi viene a dire che a un concerto rock si fa così rispondo solo: “Pensavo di essere a un concerto dei Placebo, non dei fottuti Limp Bizkit” (cit. Brian Molko e se non lo sapete, andate a vedervi la registrazione del concerto di Mosca e ascoltate le parole di quello che definite il “vostro” cantante, chissà che qualcosa non vi entri in quelle zucche vuote!)

MOMENTO PIPPONE MORALEDUCATIONAL

A voi che:
  • avete chiuso occhi e orecchie davanti alla sofferenza e addirittura avere avuto il fegato di approfittarvene (parlo di una sofferenza reale, tangibile. Non dello struggimento da amor platonico per Molko, per capirsi);
  • non vi siete fatti scrupoli nell’aggredire chi pacatamente stava cercando di esporvi i DIRITTI di una persona in evidente stato di difficoltà fisica;
  • a voi che: “ Non me ne frega un cazzo di chi c’è prima di me. Io corro e spingo e se devo buttare per terra qualcuno nel mentre, lo faccio”;

Spero vi siate goduti la prima fila e vi faccio i miei più sentiti complimenti. Dovete davvero avere una bella dose di coraggio per riuscire a guardarvi allo specchio. Perché se vi comportate così per un concerto, non riesco davvero a immaginare a come possiate essere nella vita “reale”. Per favore però, piantatela di fare finta di essere fan dei Placebo (una band, ve lo ricordo, che snocciola compassion*, empathy* and respect* ogni piè sospinto [la traduzione la trovate sotto, tranquilli!]) perché i casi sono due: o vi state autoprendendo per il culo o non avete capito una beneamata mazza. Credetemi, non vi meritate una band come questa, ma soprattutto i Placebo non si meritano dei fan come voi.

Per quanto mi riguarda, cerco di non perdere del tutto la sfiducia nel genere umano anche se alcuni soggetti in cui mi sono imbattuta e la conta dei lividi che ho addosso, mi stanno rendendo il compito particolarmente arduo.


Breve vocabolario: 
Soulmates: It's like a best friend, but more. It's the one person in the world that knows you better than anyone else. It's someone who makes you a better person, well, actually they don't make you a better person...you do that yourself because they inspire you. A soulmate is someone who you carry with you forever. It's the one person who knew you, and accepted you, and believed in you before anyone else did or when no one else would. And no matter what happens..you'll always love them. 
In italiano: anime gemelle
In realtà: persona la cui vita viene sacrificata in cambio di uno sputo in fronte da Molko.
Compassion (compassione): (dal latino cum patior - soffro con - e dal greco συμπἀθεια , sym patheia - "simpatia", provare emozioni con..) è un sentimento per il quale un individuo percepisce emozionalmente la sofferenza altrui desiderando di alleviarla.
Empathy (empatia): è la capacità di comprendere a pieno lo stato d'animo altrui, sia che si tratti di gioia, che di dolore. Il significato etimologico del termine è "sentire dentro", ad esempio "mettersi nei panni dell'altro", ed è una capacità che fa parte dell'esperienza umana ed animale. (Cioè, siamo molto peggio degli animali!).
Respect (rispetto): Disposizione ad astenersi da atti offensivi o lesivi, implicita nel riconoscimento di un diritto. 

Peace&Love and see you in London

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Le illustrazioni sono, come sempre, di quella strafiga di Nicoletta Baldari

Commenti

  1. Sei fenomenale! Concordo che andare a Taranto dal profondo nord è stato un calvario. Dubito mi vedranno mai più ! Paola.

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