SCANDINAVIA, 8-11.10.2022

 

No sound is not a good sound 
(cit. Brian Molko, Vega, Copenaghen, 8 ottobre 2022)


Partire per il tour scandinavo che ti porterà in 5 giorni a passare attraverso tre degli stati più freddi d’Europa, prevede una preparazione logistica non indifferente. Soprattutto in considerazione del fatto che il giubbotto super termico che hai ordinato su Amazon non arriverà in tempo per la partenza. Dopo aver valutato e scartato, a malincuore, l’acquisto di una comoda stufa portatile (la trovate su Amazon a soli 13,99 euro), l’unica soluzione possibile è riesumare l’abbigliamento da sci e cercare di non sembrare la figlia minore dello yeti. 
Via libera quindi a delle calzamaglie termiche super sexy, maglie antivento e antitutto, calzettoni da escursionista alle prime armi, cappelli, guanti, scalda mani e scaldapiedi in gel, per toccare l’apoteosi con dei sacchi a pelo portatili e pieghevoli da survival kit. Peso della valigia: 37 kg. Ok, qui bisogna ridurre qualcosa: forse il bancale di felpe e guanti va un attimo ridimensionato. Dopo una sequela importante di imprecazioni e tentativi di compressione da far impallidire Elastigirl, finalmente il bagaglio scende sotto i 16 kg. So che mi pentirò amaramente di aver rinunciato al settimo maglione, ma la vita di una groupie anziana è fatta di molti sacrifici. 

DISCLAIMER
Le date scandinave verranno raggruppate per comodità in un unico post.

COPENHAGEN 



Copenhagen ci accoglie con un clima inspiegabilmente mediterraneo e il sole caldo ci invoglia sconsideratamente a noleggiare delle biciclette per pedalare allegramente lungo i fiordi. 
Qui vanno considerati due aspetti:
La pericolosità dell’impresa. Se è pur vero che Copenhagen è una enorme pista ciclabile, è altrettanto indubbio che gli autoctoni, i quali probabilmente nascono con un sellino già appiccicato al sedere, ne usufruiscono come se si trovassero su una pista di Formula 1 a due ruote. Vige una sola regola: passa chi ha più coraggio e io, come è noto, non mi chiamo certo Brave di secondo nome. 
La fatica dell’impresa. Per una persona come la sottoscritta che ha fatto esercizio fisico ai tempi di Carlo Cudega e solo perché obbligata da un sistema scolastico dittatoriale, salire su una bicicletta equivale a chiederle di calarsi nel piombo fuso. Arrivare dunque a fare ben 20 km in due giorni, è un evento che andrebbe annotato nel registro olimpico. Chiaro che in queste condizioni, sarebbe più semplice imparare a conversare in mandarino piuttosto che arrivare fresca come una rosa al concerto. 
Ma ecco che la solerte Copenhagen mi viene in aiuto ancora una volta: in sala non sono ammessi giacconi. Cioè, in una delle nazioni più fredde d’Europa, a ottobre, se non vuoi perdere tempo al guardaroba, ti fai la coda in maglione. Ripeto: in maglione. O, come nel mio caso, in tre maglioni. Forse non arriverò fresca al concerto ma sicuramente a un passo dal congelamento. Per altro anche la sala, che si trova due piani sottoterra, ha una temperatura che anche un pinguino troverebbe poco confortevole. 
Per fortuna con gli Echo Machine la temperatura si alza un pochino e le mie dita passano da un blu intenso e una lieve sfumatura violacea: ottimo, forse non le perderò! 
Nonostante la temperatura polare i nostri sono particolarmente sorridenti. Stefan è addirittura scherzosamente molesto con il resto della band e si produce in balletti degni di un professionista della contorsione, mandando decisamente in sollucchero le sue estimatrici della prima fila. 
Brian invece adotta una tecnica di stordimento-fan diversa, mettendosi a giochicchiare con i plettri per poi lanciarli un po’ in giro a caso e amoreggiando esplicitamente con il microfono. Lo stesso microfono carico di sacra saliva che la fortunata misuratrice dell’asta (del microfono, non pensate male) si poggia alla gola per trarne probabilmente qualche effetto taumaturgico ai limiti della legalità. 
Note gradevoli della serata sono stati i due guasti tecnici alla pedaliera di Brian. E se pensate che il nostro cantante sia un vecchio brontolone irritabile e iracondo, be’ vi sbagliate di grosso. Al tizio che dal pubblico gli ha chiesto di suonare Nancy Boy, e cui io pensavo avrebbe spiccato la testa con un solo lancio di plettro, ha risposto ridendo: “Al momento non posso suonare una ‘m****’ di niente. Figuriamoci Nancy Boy!” 
Con grande aplomb ci ha messo di fronte a una scelta: o si continuava con lui senza chitarra oppure dovevamo avere pazienza. Per non so quale motivo, il pubblico ha scelto la seconda opzione, tranne la sottoscritta che tifava per un Molko nudo sul palco (trad. senza chitarra, ovviamente). 
Dopo pochi minuti in effetti il problema viene risolto ma appena prima di TBNT si ripresenta di nuovo: nulla da fare, dalla chitarra di Brian non esce una nota. 
E se qualcuno, anche solo per un secondo, non ha pensato “meglio così!”, mente. Lì ho seriamente creduto che avremmo visto la testa di Codaliscia rotolare sul palco e invece il piccolo tecnico del suono (evidentemente ancora in stage) viene quasi consolato da un Brian talmente accondiscendente da sembrare la sua versione in salsa Disney. Si aspetta di nuovo e dentro di me prende forma una teoria che potrebbe spiegare il problema della pedaliera. La colpa di tutto è di quegli orripilanti doposci antinfortunistici. È chiaro: ogni volta che Brian tenta di schiacciare un pulsante o un pedale è come se il piede di Gulliver si abbattesse sulla tastiera del cellulare di un puffo. Ora, io capisco l’essere sentimental and violent, ma qui è si sta esagerando nel maltrattare una pedaliera innocente. Oltre che, palesemente, il buon gusto. 
E in ogni caso il problema, che viene dato come risolto, è anni luce lontano dall’aver trovato una soluzione: la voce di Brian è perfetta, incantevole e meravigliosa come non mai. Peccato che, non appena cominci a suonare, scompaia del tutto. E questo, credetemi, non è bello. Ok che si può andare a memoria ma quando poi “qualcuno” cambia i testi o si dimentica i pezzi, viene fuori quello che in gergo tecnico si chiama “rabelot”! 
Una menzione particolare merita il refrain di Fix Yourself, recitato con occhi sbarrati, sguardo fisso e palese volontà di ridurre gli astanti a una massa gelatinosa e non reattiva. 

OSLO



Il trasbordo Copenhagen-Oslo in bus non è certo uno dei più confortevoli e veloci. Se, in più, avete i posti a spazio ridotto, credetemi che starete scomode anche se avete lo stacco di coscia di Frodo. 
La città che ci ospita sembra essere una enorme Quarto Oggiaro dei primi anni 2000, con un tasso di degrado che cresce man mano che ci avviciniamo alla venue. Appare subito evidente che non siamo nel quartiere più IN di Oslo e che muoversi da soli non è una buona idea. 
La coda pre concerto, tuttavia, avrebbe potuto essere gradevole, consumata al caldo in un locale che offriva musica gradevole e un menu di tutto rispetto. Ma non tutte le ciambelle riescono con il buco e in questo caso l’intoppo assume le fattezze di una coppia tedesca parecchio rissosa e aggressiva che in men che non si dica decide di colonizzare entrambe le porte d’ingresso, precludendo così a tutti la possibilità di sorseggiare una cioccolata calda e, nel contempo, assicurarsi la prima fila. Sfuma così anche il sogno di pasteggiare con hamburger gozzi e patatine fritte inzuppate di salse gocciolanti calorie e colesterolo. La necessità di nutrirmi mi porta tuttavia a provare quello che pomposamente viene chiamato “salted waffle”, una sorta di stuoia da spiaggia ripiegata e farcita con fogli di cartone marrone spacciati per formaggio locale. Deliziosi. 
Per fortuna gli sforzi vengono ripagati dalla conquista di un posto più che dignitoso in transenna e trascorriamo la successiva ora a fare illazioni sulla band che avrebbe sostituito gli adorabili Echo Machine, bloccati in un non meglio specificato aeroporto dell’est Europa. Di loro sappiamo solo il nome: You Thant e nemmeno i locali hanno saputo spiegarcene il significato. Improvvisamente compaiono sul palco:
Un serial killer: il bassista assomiglia a Dahmer (o per lo meno al Dahmer della serie Tv) in modo decisamente inquietante
Un tifoso di calcio che sfoggia con orgoglio la maglia di tal Modric. Non ho ovviamente la più pallida idea di chi sia.
Un hobgoblin. Chi ha visto la serie Sabrina si ricorderà sicuramente Robin, il fidanzato di Theo dalle orecchie a punta, i capelli verdi e il cappellino da baseball rosso. Ecco, uguale.
Un minore sfruttato: spero che il batterista abbia fatto tutti i compiti perché si sa che gli insegnanti delle medie norvegesi sono parecchio severi!
Un tamarro uscito direttamente dai film dei Vanzina anni 90 con tanto di occhiale da sole in testa e jeans bianco.
Recensione: la loro esibizione dura 25 minuti. Per fortuna. 
E non mi sento di aggiungere altro. 
Del resto con così poco preavviso avranno sicuramente raccattato la band dell’oratorio del quartiere che, come vi ricordo, non è esattamente Beverly Hills.
Naturalmente vengono letti i soliti avvisi che invitano a non fare foto, filmati, registrazioni di qualsiasi tipo e anzi, se si evita di fissare troppo il cantante sarebbe anche meglio: lo speaker norvegese conclude con un entusiasmante NAMASTETTETE! 
E dopo poco verrebbe proprio da dire #namasteuncazzo perché siamo arrivati a un punto di non ritorno in cui non è concesso neppure fotografare il palco vuoto con ancora gli strumenti da montare. La security deve essere stata sottoposta a una seduta di terrore particolarmente intensa perché sono aggressivi come delle mamme giaguaro in modalità protezione cucciolo arrivando a minacciare una povera fan innocua che stava usando lo schermo della fotocamera per ritoccarsi il trucco con la gentile frase: “Se ti vedo ancora tirare fuori il telefono ti sbatto fuori”! 
Ah, la proverbiale grazia scandinava! 
Per quanto concerne il concerto, io personalmente l’ho trovato meno coinvolgente del precedente, e se a Copenaghen faceva freddino, in questa venue si battono decisamente i denti. Nel contempo alcuni problemi audio paiono essere parzialmente risolti. 
Infine, qualche nota di gossip:
L’outfit di Brian non è cambiato di un filo, nel senso che indossa esattamente gli stessi abiti dei concerti precedenti con anche lo stesso filo che gli penzola dal gilet.
Twin Demons ha due nuovi versi che fanno all’incirca così: “My agitation, no exaggeration / possessed by demons / My monkey mind / my fixation, no sbubbleretion”. In compenso la catastrophe in motion è accompagnata da una girellata di plettro che ricorda agli astanti una delle tanti doti di Molko. E chi ha orecchie per intendere…
L’ex drummer citato in Surrounded by Spies ce lo siamo dimenticati a Copenaghen ma va bene lo stesso, non ne sentiremo la mancanza e la canzone funziona lo stesso. 
Went Missing mi ha provocato dei brividi veri. E non del genere che si può facilmente immaginare. A metà canzone, infatti, il nostro ha cominciato inspiegabilmente a sibilare. Una zeppola in piena regola. Al che, istintivamente, ho pensato: “Oh boia, qui è partito un provvisorio e se l’è ingoiato!” E proprio sulla canzone più carica di “S” che si possa immaginare. Gli ultimi versi di quella che ormai era diventata Went MiFFing facevano più o meno così: CraFF into me with FpiderF / Fecret deFtroyerF keep away (x 9). Per fortuna era solo un problema di microfono ma per un attimo ho temuto il peggio! 
Gli animi e le gole si scaldano su Infrared e la parola “ambulance” assume improvvisamente un fascino tutto particolare grazie a un tono basso e strascicato. La performance è inoltre letteralmente condita da una cilappata da competizione olimpica. Purtroppo nelle venue è vietato introdurre ombrelli, ma consiglio a chi vuole stare in prima fila di fare un salto da Tiger e acquistare quei comodi impermeabili usa e getta per soli 1,50 euro. Si trovano di solito dietro le casse.

STOCCOLMA 

Il viaggio verso Stoccolma comincia letteralmente prima dell’alba con tre disperate che si aggirano alle 4 del mattino per stazioni e aeroporti e cercano degli appoggi per poter accumulate preziosi minuti di sonno. Infatti, non appena salgo sull’aereo, cullata anche dal tenero russare del mio vicino di posto, cado addormentata come un’anziana Aurora. Dopo un tempo non definito riapro gli occhi e sento l’aereo immobile. Ancora mezza rimbambita faccio per alzarmi e prendere le mie cose convinta di essere già su suolo svedese. E invece non ci eravamo proprio ancora scollati dalla Norvegia. Registro distrattamente il ritardo sulla tabella di marcia e, ignorandone bellamente i motivi, mi riappisolo in men che non si dica. Quando mi ridesto stiamo davvero atterrando e solo dopo essermi ricongiunta con le mie compagne scopro che, mentre io giacevo in totale stato di incoscienza, sono stati annunciati guasti tecnici all’aereo che stavano “tentando” di risolvere. Posso solo pensare che il mio è stato un provvidenziale attacco di narcolessia che mi ha evitato l’attacco di panico peggiore del secolo. 
Per quel poco che riesco a scorgere dai finestrini del treno prima e del taxi poi, Stoccolma sembra davvero una bella città e per la seconda volta mi riprometto di tornarci per visitarla senza distrazioni musicali. 
La venue è bella esattamente come me la ricordavo e gli svedesi gentili e accoglienti, un altro pianeta rispetto ai ringhianti norvegesi.
Riusciamo a fare la coda al caldo e al coperto, anche se fuori il clima è insolitamente gradevole e addirittura la security ci accompagna fino a mezzo metro dalla transenna: che poi in quel mezzo metro si possa essere scatenato l’inferno non è certo colpa loro. Le fan svedesi sono di una bellezza abbagliante, sembrano uscite da una sfilata di Project Runway, anche la ragazza della security potrebbe tranquillamente posare per una copertina fashion senza nemmeno mettersi un filo di mascara. Addirittura la tizia di fianco a me (ovviamente altissima e ovviamente biondissima) che era stata intabarrata tutto il giorno in un enorme piumino, comincia a togliersi strati e strati di vestiti fino a rimanere con un minuscolo reggiseno a triangolino dorato. E stava pure bene! 
Insomma, un’umiliazione su tutta la linea.
In barba a tutta questa avvenenza non compare nemmeno un fotografo ufficiale. Siamo al concerto che nessuno vedrà mai, il GG (ghost gig), quello che, in mancanza di prove, potrebbe non essere mai avvenuto. 
E del resto con questi controlli così efficienti, chi è quel pazzo che si azzarda a tirare fuori il cellulare e a fare una foto? Sì, perché se i controllori a Oslo erano feroci, questi sono indemoniati. Alla minima avvisaglia, saltano letteralmente sulla transenna fulminando con la torcia il fotografo in erba e incuranti fatto che con questa agile mossa stanno malmenando, colpendo e infastidendo tutta la prima e la seconda fila. Siamo al paradosso che danno più noia e fanno più casino i controllori dei filmatori seriali che i filmatori stessi. Tutta questa faccenda rischia di sfiorare il ridicolo! 
Nel complesso, eccettuati gli spintoni della security, è stato un concerto gradevole in cui si riesce addirittura a rivalutare una ciofecata come Too Many Friends grazie a un repentino abbassamento di voce e a un tocco recitativo che male non fa mai. Anche un pasticciaccio brutto su Infrared è fonte di innalzamenti umorali e ormonali perché ci regala un Brian particolarmente sornione e allegro. In fondo a noi fan ci frega poco e niente delle foto, preferiamo di gran lunga un bel sorriso del nostro cantante. 
Dopo aver aspirato al lavoro di “filista” (ossia la giovane fortunella che ha il compito di arrotolare e srotolare il filo del sacro microfono, godendo di un punto di vista privilegiato sulle sacre terga) penso invece che mi candiderò al ruolo di “accapatoista”, ossia colei che ha il compito di avvolgere un caldo e asciutto indumento attorno alle Molko spalle sudate e provate. Considerato che probabilmente è la stessa persona che si occupa anche degli outfit di Brian, direi che è uno stipendio assolutamente inutile: lo faccio gratis, giuro. 
E riattacco anche bottoni con una certa maestria… 

Bando alle ciance, la mia personale classifica delle date scandinave è la seguente:
CONCERTO:
1. Copenaghen 
2. Oslo
3. Stoccolma
CITTÀ E ACCOGLIENZA:
1. Stoccolma
2. Copenaghen 
3. Oslo
SECURITY:
1. Copenaghen 
2. Oslo
3. Stoccolma
VENUE:
1. Stoccolma
2. Copenaghen 
3. Oslo

A giorni in arrivo anche la puntata sull’affair Varsavia. Stay tuned! 

Infine, solito momento promozione: 
Vi ricordo il super concorso per i Placebo Lovers indetto dalla fantastica Stefania Dei Cuori, il cui regolamento potete trovare qui: https://www.instagram.com/reel/CjDB89ejhfd/?utm_source=ig_web_copy_link e che vi darà la possibilità di vincere una fantastica Pearl Pill, unica, personalizzata e fatta con un ingrediente speciale: la passione! 

Come potrete vedere in questa puntata manca la vignetta del nostro amato Petrok's art  che tornerà a breve fra noi :)

Le foto utilizzate in questo blog non sono ovviamente mie perché ci tengo ancora troppo alla vita. 
La cover è una foto scattata a Copenhagen da Christian Hjorth @christianhjorth
Il primo piano sempre da Copenhagen è di Morten Rygaard @mortenrygaardphoto
Lo stacco di coscia di Oslo è di Terje Dokken Rock Photo
La foto di Stoccolma è di... Ah, no...

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