Barolo – 16 luglio
È un bicchiere di vino con un
panino, la felicità
È
cantare a due voci quanto mi piaci, la felicità.
[Felicità, Al Bano e Romina Power,
Festival di Sanremo, 1982]
(Ovvero
di quando il tuo cantante astemio, morigerato e passifloradipendente, decide di
partecipare a un Festival AgriRock nella culla del vino più succulento del
mondo. Al mio segnale, scatenate i cavatappi!)
9 gennaio 2017 – I Place…
Ah no, scusate. Il management
dei Placeb…
Ah no, scusate.
L’organizzazione del festival di Barolo annuncia che i Placebo si esibiranno al
Collisioni il 16 luglio. UNICA DATA ITALIANA. Si può mancare? Ovviamente no! E
mentre da ogni parte d’Italia piovono improperi di vasta portata a causa
dell’amena ubicazione che rende la terra di Mordor logisticamente più
raggiungibile e con una più alta ricettività, io mi gongolo avvolta come un
bruco nel suo bozzolo al pensiero che, in fondo, sono solo due ore di auto!
[Piccolo OT – I Placebo e la
comunicazione: due rette parallele!
31 gennaio 2017 – ding dong…
oh, un post di Virgin Radio. Ah no nulla, è sul FirenzeRock e gli Aerosmith. E
sulla band di apertura degli Aerosmith e (strabuzzamento di orbite!) I PLACEBO
APRONO GLI AEROSMITH??? La fine del mondo è vicina! Ma Barolo non doveva essere
l’unica data italiana? Perplessitudine dilagante…
21 marzo 2017 – bling bling…
oh, un tweet di Placeboworld. MACCHECCAZZOTAORMINA!!!! Oh ragazzi, non scherziamo!
Ma Barolo e Firenze non dovevano essere le uniche date italiane? Guardate che
la Sicilia sarà anche un’isola ma sempre in Italia siamo… Che cosa stiamo
facendo, il tour del Bel Paese annunciato a spizzichi e bocconi? In caso vorrei
ricordare che a Settembre a Oreno, illustre borgo medievale brianzolo, c’è
sempre la prestigiosa sagra della patata. Rievocazioni storiche su tutti i
palchi e la perfetta occasione per presentare l’inedita versione di Nancy Boy
con ghironda e fragioletto!]
Tornando a Barolo, dicevamo…
due ore di macchina, si parte con calma, agriturismo scovato in paese, insomma:
una passeggiata di salute e relax dopo aver affrontato acquazzoni, tentativi di
sterminio in teatri antichi, popolazioni poco amichevoli e mezzi di trasporto
tenuti insieme dalle preghiere.
E invece no…
Barolo è un ridente paesino
che conta 709 abitanti, adagiato su un piccolo altopiano. PICCOLO ALTOPIANO! Le
famose colline piemontesi. COLLINE! Non dirupi senza protezioni con tornanti
sospesi nel nulla che ti fanno precipitare nel vuoto come una palla da bowling senza
controllo che fa strike tra i filari di vite! Ok, so che sto un po’ esagerando,
ma (cosa che ormai sanno anche i sassi e ogni singolo grappolo d’uva
piemontese) soffro di VERTIGINI. Il fatto che io riesca a raggiungere ben due
agriturismi collezionando solo tre crisi isteriche con pianto annesso e un
mezzo attacco di panico, credetemi, ha del miracoloso. Ero un po’ abbronzata
prima di arrivare a Barolo. Ero. Mi presento al ritiro dei pass per il parcheggio,
bianca come un cencio e sul punto di vomitare tanto che la tizia, mossa a
pietà, mi offre prima dell’acqua e poi uno shottino di Barolo. Chiaramente,
accetto.
Parcheggio con la ferrea
convinzione di non spostare mai più la macchina e vengo accolta dalle parole
celestiali del proprietario: “Nella sua camera troverà la sua amica che è già
arrivata e una bottiglia di benvenuto che dovrà assolutamente essere
consumata!”
Evviva: quale miglior rimedio
agli attacchi di panico da vertigini se non un bel bicchiere di vino fresco e
leggero? Ma quale bagnoschiuma? Ma quale cuffia da doccia? Ma quale diavolo di
set per il cucito? Fate come in Piemonte: una bella bottiglia di… Dolcetto d’Alba come courtesy service e
passa la paura. Certo, forse non è l’ideale consumarla quando fuori ci sono
circa 38 gradi, ma la notte è giovane, prima o poi calerà anche la temperatura
e, nella peggiore delle ipotesi, uno splendido prato ci accoglierà come
giaciglio.
Barolo pullula di fan dei
Placebo e fare due metri è letteralmente un’impresa. Riusciamo a fare talmente
tanto casino che i sostenitori di Alberto Angela a un certo punto ci chiedono
di abbassare la voce e il fatto che fossero a mezzo metro da un concerto di
musica rock, può soltanto dare una vaga idea dei decibel che possiamo a
raggiungere. In tutto questo e per motivi non meglio identificati, non
riusciamo a ingerire del cibo, ma ci consoliamo pensando che il nostro
agriturista ci sta aspettando per una degustazione di vini (gratis. Dio
benedica quest’uomo!) e sicuramente provvederà a rifocillarci.
Dopo essere state punite con
la sangria peggiore mai comparsa sulla Terra (pena del resto più che giustificata
dato che bere del Tavernello con dentro dei pezzi di frutta molto prossimi alla
decomposizione mentre ci si trova nella capitale del vino è, a tutti gli
effetti, un sacrilegio!), torniamo dal nostro ospite che ci accoglie nelle
cantine dell’agriturismo dove la cosa più interessante è la temperatura che si
aggira sui 17 gradi. Praticamente, l’anticamera del paradiso! Dopo mezz’ora di un
interessantissimo sproloquio sull’utilità o meno del marmo nelle vasche di
fermentazione e dell’acciaio per i fusti, finalmente ci accomodiamo per la
degustazione. E lì capisco che l’agriturista così gentile è in realtà un serial
killer che sta cercando di sterminarci a suon di vinaccioli perché far
degustare 9 vini (NOVE VINI)
diversi, abbondando nelle dosi, includendo diverse annate di Barolo, chiudendo
con del Barolo Chinato e offrendo dei grissini per fare fondo in una quantità
decisamente insufficiente per assorbire anche sono una minima parte dell’alcol
trangugiato, è un’azione che va chiaramente archiviata come un tentativo di
omicidio.
Dopo un’ora passata a bere
ogni ben di Dio (perché, al di là di tutte le avversità, i vini erano davvero
ottimi) decidiamo di ributtarci nella folla del festival perché la ricerca di
cibo è diventata prioritaria e metterci a raccogliere bacche o brucare prati
non è un’alternativa edificante. Tutto sommato ci sembra anche di essere
dignitosamente sobrie… impressione che viene vanificata all’istante quando ci
lanciamo all’inseguimento di un caddy che trasporta un Alberto Angela particolarmente
scompigliato e accaldato. E cosa potrà mai fare un esimio e affascinante
studioso che si vede piombare addosso due serie professioniste sudate e visibilmente
alterate se non accettare, con malcelata repulsione, di fare una foto e sperare
che le due si dileguino all’istante?
Considerato il fatto che
mancano ancora 24 ore al concerto direi che siamo a un livello di disagio già
piuttosto ragguardevole ma che viene ben presto superato dal fatto che la
mattina dopo, di buon’ora, ci dirigiamo di gran carriera verso la piazza Rossa
dove si esibiranno i nostri con una falcata orgogliosa e delle sedie sotto
braccio. Sì, perché la sottoscritta in un momento di ansia organizzativa e
forte di avere per una rara volta il bagagliaio dell’auto a disposizione, ha
pensato bene di affrontare la coda giornaliera dotandosi di comode sedute.
Peccato che, una volta giunte sul luogo (dopo essere state indirizzate in
almeno 5 punti differenti dai ragazzi dell’organizzazione che, evidentemente,
hanno avuto istruzioni da un Winnie the Pooh in piena crisi glicemica), ci avvisano
che una volta aperti i cancelli verso il primo intransennamento, le sedie
andranno abbandonate. Il che accadrà alle 9,30. Tempo di sfruttamento del
comfort: 10 minuti. Bene, ma non benissimo…
In compenso ci comunicano che
l’accesso alla piazza aprirà alle 17: in fondo sono meno di otto ore. Sotto il
sole. A picco.
[Consigli random per
affrontare un concerto estivo:
- dotatevi di un cappellino,
un foulard di vostra nonna, un burka, un ombrello o, come nel mio caso, un
palloncino sgonfio. Insomma una qualsiasi cosa che possa riparavi il capo. Il
pericolo insolazione è altissimo e la frase: “ho visto Dio” rischierebbe di
rivelarsi una triste verità;
- non fate tinte per capelli
di nessun tipo. Al di là dell’acqua che vorrete versarvi in testa, suderete.
Fidatevi, suderete tantissimo. Ho visto colate nere trasformare ragazze molto
carine nelle sorelle disagiate di Samara; ho visto magliette con strisce
rossastre che facevano sospettare un regolamento di conti a suon di pugnalate;
- lasciate a casa i jeans:
pantaloncini leggeri, di cotone. Anche se pensate di avere le cosce di Dumbo,
fregatevene alla grande, tanto dal palco non si vede nulla;
- acqua e banane: la dieta
del fan! Mollate gli alcolici che fanno sudare il triplo e vi offrono una
corsia preferenziale per la guardia medica, che per altro non si trova in
backstage. Un sacrificio assolutamente inutile]
Finalmente entriamo e con
l’arguzia di una formica, il tizio della security ci invita a sederci per non
ammassarci e avere spazio per respirare. Peccato che la transenna in ferro
abbia una temperatura vicina alla fusione nucleare e rischia di trasformarci
tutti in braciole fumanti. Sono solo le 17 e da un rapido consulto su Google
scopriamo che il sole comincerà a scendere non prima delle 20. È chiaro che
assistere a questo concerto prevede il superamento di prove degne di
Highlander…
Per fortuna le ore di attesa
verranno deliziate da ben tre band di apertura. Nell’ordine:
- Kaos India: ok che sono passati due mesi ma ci ho messo 3 giorni a
ricordarmi il loro nome (cosa che poi è avvenuta il maniera del tutto casuale,
complice una bottiglia di vino e un mappamondo comparso per caso) e nessuno
degli interrogati ha saputo aiutarmi. In effetti, l’unica cosa notevole di
questa “band” è il batterista affetto da una esplosione tricologica notevole,
una sorta di Tina Turner al testosterone su cui non avrebbero effetto nemmeno
le preghiere in urdu di Yuko Yamashita. A stento sono riuscita a trattenermi
dal salire sul palco, armata di forbici, e sfoltirgli la chioma in modo da
alleviare le sue sofferenze.
- The Strikes: loro invece sono molto carini, il batterista è uno
zuccherino a stento dodicenne, il bassista un nerd che tra 20 anni sposerà una
ragazza fighissima, il chitarrista ha quell’espressione da sedicenne navigato
che ti fa velocemente valutare a quanti anni di galera saresti disposta a
cedere. Il cantante è un gattone arruffato, visibilmente imbarazzato (del resto
li hanno chiamati a suonare solo 24 prima, un applauso all’organizzazione del
Collisioni) con una gran bella voce che mi conquista prima con una cover di
Tainted Love per poi stendermi definitivamente con la domanda: “Vi piacciono di
Oasis?” Ora è evidente che il poverino non sa di aver beccato il gruppo
sbagliato, di aver nominato proprio quello che al nostro cantante fa venire un
attacco di orticaria omicida, ma gli va riconosciuto il merito di essere
riuscito con quattro parole ad abbassare la temperatura di almeno 10 gradi. E,
onore al merito, il ragazzo mostra anche un enorme coraggio nell’ignorare gli sguardi
di gelido terrore, il silenzio paralizzante e le teste scosse delle prime file
ed esibendosi in una cover del suddetto gruppo. Insomma, bravi, carini e
simpatici. E per chi non lo ricordasse, si trovano su spotify:
https://open.spotify.com/artist/0jAEssQ6weqWJeGxAjF3Pw
- Georginess: loro paiono essere la band di punta. Be’, per me è un
no… Lei, Giorgie, è senza dubbio un’urlatrice e, francamente, dopo ore sotto il
sole cocente, il cervello in brodo e le visioni da afa, una che strilla a quel
modo ti fa desiderare solo l’avvento di un meteorite. Una menzione a parte
meritano i testi: “Ti odio ma ti faccio le fusa” (seriamente ho sentito
questo!), “C’è la tua anima sotto a quel grasso” (un po’ di body shaming che
non guasta mai), “Me ne torno a casa” (promesse vane!): Phoebe Buffay, al
confronto è da disco di platino. Alla domanda: “State aspettando i Placebo?” mi
accascio. No tesoro, stavamo tutti passeggiando per i colli stamattina e
abbiamo pensato di stare ore a ustionarci sotto il sole di luglio solo per
vedere l’effetto che fa…
Se Dio vuole, le band hanno
finito, il sole comincia a calare e inizia il rito di preparazione per i
nostri: l’omone delle chitarre arriva armato di spruzzino di Lisoform e
asciugamano e comincia diligentemente a disinfettare la zona palco in cui
presumibilmente stazionerà Brian, non sia mai che un germe caduto da un
estraneo, per giunta italiano, lo aggredisca proditoriamente! (Devo dire che la
disinfezione viene fatta in maniera così accurata che mi viene voglia di
allungargli un biglietto da visita nel caso abbia bisogno di un lavoretto part
time per arrotondare!) e cominciano a circolare i soliti avvisi no foto, no
video, no flash, no fiori lanciati al cantante. Mentre sul palco si srotolano i
soliti chilometri di fili, i fotografi cominciano a prendere posizione e, con
la discrezione che li distingue, cominciano a broccolare apertamente le prime
file. Possibile che siano tutti attratti inspiegabilmente dal look “profuga
sudata”? L’arcano viene svelato poco dopo: alla domanda “Ma lo sapete che il
vostro cantante ha un caratterino niente male? (ma dai? E io che pensavo che
facesse concorrenza a Giobbe…). Avete rischiato che saltasse il concerto, eh!”
capisco chiaramente che sono tutti posseduti dallo spirito di Louella Parsons
(per chi non lo sapesse, una delle tre più famose gossipare americane del
secolo scorso). In men che non si dica, tutta la prima fila e in punti
differenti viene messa al corrente di un succulento pettegolezzo da backstage.
Di seguito, brevemente, i fatti:
- - un ragazzotto non
meglio identificato facente parte dell’organizzazione del Festival decide di
giocare con la morte e scatta una foto a Molko in backstage;
- - il ragazzotto di
cui sopra viene notato dal cantante di cui sopra che, in un momento di rara
calma e immensa generosità, decide di risparmiargli la vita;
- - il ragazzotto di
cui sopra viene costretto dal cantante di cui sopra a cancellare le foto
dall’orrido cellulare;
- - il cantante di cui
sopra straccia il pass del ragazzotto di cui sopra, che viene prontamente
allontanato dalla scena del crimine, dal Festival, dal Piemonte e probabilmente
dall’intero continente europeo.
Dopo questo rocambolesco
racconto (del quale naturalmente non si garantisce la veridicità), i fotografi
ci osservano con sorrisini compiaciuti sperando in una reazione di sdegno. Che,
infatti, avviene puntuale. Quello che non si aspettano è che, di fronte a una
malcelata critica al nostro cantante, il patriottismo venga gettato alle
ortiche e si sfoderi all’istante la divisa da #nessunotocchimolko. Il fan dei
Placebo si lamenta, è noioso, è ipercritico su ogni cosa (dal calzino spaiato all’accordatura
fatta male), ma se un estraneo prova anche solo a formulare un pensiero
negativo nei confronti di un membro qualsiasi della band, ecco che si trasforma
immediatamente in una Erinni particolarmente battagliera. Nel caso specifico le
argomentazioni sono inoppugnabili:
- - quando hai
firmato il contratto di assunzione nello staff del festival, avrai letto le
clausole, immagino. Sicuramente ci sarà stato scritto che le foto nel backstage
sono vietate. Se non l’hai letto e hai firmato, ragazzotto mio, è solo colpa
tua;
- - ringrazia altresì
la tua buona stella che evidentemente hai beccato il cantante di cui sopra con
la luna in buona, altrimenti avresti dovuto radunare in fretta e furia i
parenti per una cerimonia funebre. La tua;
- - ritieniti
fortunato: essere licenziati da Brian Molko fa curriculum.
Nonostante tutto un po’ di
ansia di veder entrare un cantante imbronciato e che magari decide di esibirsi
di nuovo dando le spalle al pubblico, quei malefici fotografi sono riusciti a
instillarla. Per questo, quando invece ci troviamo davanti un Molko carico e
sorridente, un sospiro di sollievo sfugge involontario! Anzi, nei sorrisetti
sardonici che lancia sembra quasi di veder spuntare il canino ancora grondante
del sangue dello sciagurato ragazzotto.
La piazza è strapiena e se
quando arriva Stef la gente si spinge tutta in avanti, al momento dell’entrata
di Brian (che Naomi scansati proprio…), un’ondata tsunamica ci spiaccica talmente
tanto contro la transenna che io riesco a contare distintamente tutti i bulbi
piliferi del fotografo pettegolo che mi sta davanti il quale con fare ammiccante
esordisce con un’intelligentissima frase: “Lo sapete vero che non dovete tirare
i reggiseni sul palco perché tanto non servirebbe a niente?” (Terra, apriti e
inghiottilo. Ora!).
(Piccolo suggerimento di look
1: sull’outfit di Brian nulla da dire, è sempre lo stesso. Ma Stef stasera ci
ha lasciati tutti a bocca aperta, più per il raccapriccio che per
l’ammirazione. Il nostro bassista ha avuto evidentemente un attacco di cecità
improvvisa e così ha indossato un paio di pantaloni di Hagrid e una giacca chiaramente
prelevata dall’armadio del suo cantante. Stef, tesoro, sei bello come il sole
ma i bolerini sono passati di moda nel 1992 e ti giuro che se il prossimo passo
solo le spalline imbottite, ti denuncio alla buoncostume!)
Brian presenta la band con una
formula che non si sentiva da almeno un paio di settimane (We are Placebo, from
London. Un giorno so che mi stupirà dicendo una cosa tipo We are London, from
Placebo…). Ringrazia il pubblico declamando in un piemontese pressoché perfetto
la parola BAROLO. Annuncia con commovente entusiasmo, come fosse passato un
giorno solo e non un anno dall’uscita del singolo, Jesus’ Son, condendo il
tutto con un ansito da manuale di seduzione spicciola.
Su Special Needs, dopo aver
volteggiato con la grazia di una étoile della Scala, da prova di grande potenza
muscolare e solleva la chitarra con un unico, fluido ed elegante gesto,
preparandosi ad un assolo memorabile. Suona una nota sola, ma con una maestria che
Hendrix vorrebbe resuscitare solo per dirgli: “Bravo!” [è un dono immenso non
capire un’emerita ceppa di musica!]
I festival all’aperto danno
grandi soddisfazioni: Brian non deve nascondersi come uno scolaretto dietro
agli amplificatori per fumare e noi non dobbiamo soffrire per forza sentendo
l’odore della sigaretta senza poterla avere! Così, l’intro di Song To Say
Goodbay diventa la nuova pausa fumo collettivo.
(Piccola suggerimento di look
2: un vecchio saggio insegnava alle ragazzine che non serve a nulla allungare
l’orlo delle minigonne. Se non si vogliono mostrare le gambe basta, mettere una
gonna più lunga. Ecco, Brian, se non vuoi mostrare il décolleté, non serve
tirarsi giù la camicia, basta abbottonarla un po’ di più…).
Per altro STSG si rivela
essere una delle performance più intense della serata con l’esordio anche di una
nuova mossa: l’aggrappamento all’asta con conseguente innalzamento del
microfono e sollevamento sulle punte dei piedi. Se sia stato un colpo della
strega o un tentativo di seduzione, non è dato saperlo. Di certo è un gesto che
va messo in scaletta!
36 Degrees: sprechiamo due
parole su questa esibizione, orsù. Ora mi dovete spiegare come possa essere
possibile che ogni volta è diversa. E ogni volta è più bella. E ogni volta è
più intensa. Ora mi dovete spiegare come si possa provocare dei mancamenti semplicemente
dicendo una serie di numeri. Come si possa azzittire una piazza intera
mormorando: spalle, dita dei piedi e ginocchia… Come si possa stravolgere
completamente le aspettative urlando un secco SIX (che poi suona tanto come
SEX).
Alla faccia della scaletta
immutabile: solo con le versioni di 36 Degrees sfoderate in questo tour, si
potrebbe fare un doppio cd, con DVD allegato e folder di immagini!
Insomma, quello di Barolo è
stato sicuramente uno spettacolo magistrale. Un menu degno delle 3 stelle della
guida Michelin i cui ingredienti sono stati una band in gran spolvero, un
cantante sorridente e partecipe e un pubblico entusiasta e caldo. Un concerto
che, nella terra del vino più buono d’Italia, ti fa tornare a casa ubriaco di
gioia senza aver toccato un goccio di alcol.
In conclusione, siccome seguo
pedissequamente i dettami del mio cantante, non possono che mancare le
lamentele dal momento che, citando l’esimio filosofo Albus Silente “atti di maleducazione accidentale si verificano con allarmante frequenza”.
- - se vedete uno
spazio libero tra la prima e la seconda fila, credetemi, non è per una scelta
religiosa. Semplicemente, visto che all’inizio del concerto mancano 4 ore e ci
sono 38 gradi, si cerca di non morire soffocati. Per tanto, avete tutto il
diritto di provare a infilarvi, ma quando le persone vi spiegano la situazione
non potete fare altro che abbozzare e tornare da dove siete venuti. Insultare,
minacciare e chiamare a raccolta gli amici, è un scorretto e infantile. Capisco
il caldo, ma cercate di preservare quell’unico neurone che avete in
condivisione e non costringete la gente già provata e stanca e sprecare altre
energie. Grazie.
- - se volete bervi
l’acqua del radiatore, fumarvi piantagioni di rosmarino e ingerirvi anche la
pastiglia per la prostata di vostro nonno fate pure. Ma poi non tentate nemmeno
di mescolarvi alla gente che vuole soltanto godersi un concerto, cantare,
ballare e divertirsi. Anche perché, dopo ore sotto il sole a picco, sarete
circondati da persone pazienti come un milanese a un semaforo rosso e soddisfatte
come Hannibal Lecter in un ristorante vegano. Evitate di scatenare un pogo violento
perché va bene scatenarsi, ma quando cominciate a roteare la testa in stile
Regan dell’Esorcista, capite bene che la gente intorno possa avere un attimo di
insofferenza paventando già un’indesiderata doccia verde. E soprattutto, quando
l’energumeno della security vi dice di piantarla, piantatela. Grazie.
- - se vuoi portare
tua figlia settenne al concerto, benissimo. Non è mai troppo presto per
iniziare i pargoli a una buona cultura musicale. Ma se l’hai costretta a stare
8 ore sotto al sole cocente, l’hai stipata in terza fila, l’hai sgridata quando
si sono alzati tutti e, sorpresa, ha avuto paura perché era circondata da
montagne e, dulcis in fundo, quando l’hanno tirata fuori piangente hai avuto
anche il fegato di dirle che non era il caso di andare via, be’ credimi, hai
perso il premio come madre dell’anno. In fondo alla piazza c’era tanto spazio e
vi sareste godute il concerto entrambe. Spero la prossima volta vada meglio,
grazie.
Prossima tappa, Nîmes… à la prochaine!
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