Colmar – 5 agosto
Curae leves locuntur,
ingentes stupent.
[Phaedra, Lucio Anneo Seneca]
(ovvero di quando ti
prepari a festeggiare il tuo compleanno e poi ti trovi a sopportare coraggiosamente sofferenze e disagi con un livello di
stoicismo tale che perfino Zenone ti darebbe una pacca sulla spalla)
Ecco come è andato l’affaire
Colmar:
4 giugno –
Granada
“Ehi hai visto? Hanno appena annunciato Colmar! Che si
fa? Ci vieni?”
“Quand’è?”
“Il 5 agosto!”
“È il mio compleanno, non posso. Sai la famiglia, gli
amici… No, non posso proprio”
Un mese dopo
– Vimercate
“Allora, questa Colmar?”
“Ricordami quand’è…”
“5 agosto!”
“È il mio compleanno, ok si va!”
Lo ammetto, sono volubile. Ma come disse il
lungimirante faraone Akhenaton: “Il saggio dubita spesso e cambia idea.”
Quindi, in ultima analisi, non sono
volubile, ma saggia!
Dopo un attento studio logistico di tutti i mezzi di
trasporto comprensivi anche del monopattino idraulico, optiamo per un
confortevole viaggio in automobile. Del resto da Milano sono solo 4 ore di
viaggio, che cosa sarà mai? In più, è agosto e in agosto le strade italiane
sono deserte. Certo, quelle italiane. Perché invece al passo del Gottardo c’è una folla che nemmeno al
meeting di CL a Rimini: ovviamente ho totalmente dimenticato il fatto che il
primo weekend di agosto per gli svizzeri coincide con la fine delle vacanze
estive: mai che questi sciagurati facciano qualcosa in linea con il resto del
mondo, vero?
Pensare di fare 5 ore di fila è assolutamente
impensabile ma purtroppo l’unica alternativa è fare il San Bernardino e io comincio già a piagnucolare perché LO SO che
quella strada non mi piacerà per nulla: precipizi,
burroni, tornanti, morte certa! E tra l’altro riusciamo a beccare una mega
coda anche qui. Due ore perse, buttate via, pezzi di vita che non recupereremo
mai e, soprattutto, senza un bar dove prendere un caffè.
Seguendo le indicazioni di un navigatore evidentemente
progettato da un ingegnere sotto l’effetto del crack, entriamo in Germania. Tre stati in circa 5 ore non è male
come media, tutto sommato. E no, non lo so perché ci troviamo ad attraversare
la terra alemanna per arrivare in Francia, ma chi sono io per oppormi alle
decisioni di un aggeggio progettato apposta per portarmi alla meta?
Di certo so che stiamo percorrendo delle strade
desolate nel Nullistan, contea di Ignotilandia. Non c’è niente intorno a parte
alberi e laghi. Romantico, direte.
Voglio un caffè, dico io.
All’altezza di Ermenegilden la mia astinenza da
caffeina sta diventando incontrollabile e chi mi conosce bene, sa che è
fondamentale trovare la materia prima il più velocemente possibile prima che io
sfoderi un’aggressività tale che al confronto un gremlins dopo uno spuntino
notturno sembrerebbe il cucciolo di una puffola pigmea.
Finalmente entriamo in Francia e il mio consorte sta
pregando tutti i santi che in camera ci sia una macchinetta per il caffè perché
ormai ho già raggiunto lo stadio catartico e sfodero la stessa calma apparente
che prelude a una possessione demoniaca.
E per fortuna c’è. E ci sono anche le bustine di Nescafè. Quindi, perché perdere tempo a
scioglierle nell’acqua? Provate, sono ottime e se mettete un po’ di polvere
sotto la lingua, la caffeina entra in circolo anche prima! (no, non fatelo, il
sapore in realtà fa schifo, ma abbiate pietà, era dalle 8 del mattino che non
toccavo caffè!)
Colmar è molto bellina come città, c’è anche una parte chiamata
Petite Venice davvero deliziosa con
le case colorate e i graticci a bordo fiume. Ci sarebbe da vedere la Pala di Grünewald (che per deformazione
professionale continuo a chiamare Grindewald) ma ormai è tardi, me la farò
raccontare.
La mattina del concerto, appena metto i piedi fuori
dal letto, ho come il sentore che qualcosa andrà storto. Ma decido di
archiviare la pessima sensazione e il dolorino sordo alla gamba come semplice
suggestione.
I Placebo suonano a una fiera del vino. La cosa mi
sconcerta (ma dopo Barolo, non so perché ancora mi stupisco delle scelte
bizzarre della mia band) e mi ringalluzzisce perché già mi vedo a degustare
vini alsaziani e assaggiare cibi esotici. Infatti, alla Foire aux Vins de Colmar riesco a bere un centrifugato di frutta e
a mangiare un panino al prosciutto crudo, preso a uno stand gestito da italiani.
Troppa scelta, ergo troppo dispendio di energie.
È al momento di entrare che si consuma il mio dramma
personale. Scendendo le scale sento come una pugnalata fortissima alla gamba,
tant’è che abbasso lo sguardo per vedere da che cosa sono stata colpita. So per
certo di essere sbiancata stile cadavere e di non essere svenuta dal dolore per
un soffio. Credo di avere anche cacciato un urlo, ma sinceramente non ricordo.
Quello che invece ricordo bene è la faccia della mia amica che dalla transenna
si volta, mi fissa impallidendo, mi chiama ad alta voce e si allunga a tenermi
un posto. E io, quella santa donna
non la ringrazierò mai abbastanza perché con quel gesto mi ha salvato la vita.
E non perché così ero davanti a Brian (come alcuni potrebbero pensare e per
certo alcuni hanno pensato), ma per il semplice fatto che potermi appoggiare a
quel pezzo di metallo mi ha consentito di stare in piedi e non svenire dal
male. L’alternativa era andarsene. Purtroppo l’unica altra persona che avrei
desiderato avere vicina, è dietro le mie spalle ma si sa, le misure sono
importanti e 10 centimetri a volte fanno davvero la differenza tra la
cocciutaggine e l’empatia.
La band che si esibisce prima dei nostri, tali The Jacques, è composta da degli
adolescenti che sulla carta sembravano tanto carini ma in realtà di rivelano
dei rumoristi che non verrebbero ingaggiati nemmeno alla festa parrocchiale di
Casa del Diavolo, noto comune in provincia di Perugia. Il tizio davanti a me
suona un non meglio identificato strumento che ricorda molto da vicino una
Pianola Bontempi degli anni 80, importuna il pubblico, fuma e spegne sigarette
sul rivestimento del palco e in più non è per nulla fotogenico. Il cantante
indossa un completo rosa marshmallow che è stato chiaramente disegnato per
creare delle aberrazioni ottiche e ha la stessa capacità vocale del mio povero
gallo che, oltre a soffrire di un disturbo del sonno e cantare a tutte le ore,
ha anche un problema di gola e pertanto emette dei versi che mi fanno sempre
temere che si stia strozzando (sì, ho un gallo. E allora?)
Il mio cantante è un tripudio di sorrisi,
ammiccamenti, sculettamenti, scheccate da competizione, sudore copioso: io non
lo so che cosa sia, ma è evidente che lui è una creatura estiva perché io così
in forma come in questi tre ultimi concerti non l’ho mai visto. O forse
pregusta già le due settimane di ferie prima dell’Australia, chissà.
La scaletta è immutabile così come l’outfit, e infatti
la cosa più degna di menzione di tutta la serata sono le schitarrate che ce lo
portano vicino vicino.
Improvvisamente,
un’illuminazione: Brian Molko ha chiaramente frequentato la divina scuola di
Hokuto altroché la blasonata Goldsmiths.
Infatti, così come quel diplodoco figaccione di Ken Shiro faceva esplodere gli
avversari toccando i 708 punti di pressione emettendo garruli versetti, allo
stesso modo il mio cantante fa implodere i fan disarmati a suon di sorrisi
(senza purtroppo toccare nulla ma emettendo i medesimi garruli versetti)
Ora, il fatto che mi sia beccata un sorrisone a 32
denti, forse 31, su Special Needs da
parte di Mr. Molko molto probabilmente è legato alla mia espressione
estremamente sofferente e al fatto che ho sfoggiato una flamingo pose
formalmente perfetta per diverse ore, ma si mormora che sia sufficientemente
appuntarsi un fiore fra i capelli per attirare la sua attenzione. Ora, io non
lo so se sia vero, ma non mi dà l’idea di una persona particolarmente legata
alla floricoltura. Tuttavia, tentar non nuoce!
Su Exit Wounds,
dopo aver sospirato come un maratoneta in procinto del traguardo, Brian solleva
la chitarra e se la fa crollare sul petto. Contemporaneamente io sento in
maniera distinta le mie ovaie crollare la terra per lo sforzo.
Sulle prime note di Protect Me, mi giro dalla mia amica e le chiedo: “Pensa se la
facesse in francese… Mi farebbe proprio un bel regalo!” e quel disgraziato
attacca con uno strascicato “C'est le malaise du moment”. Morta! Mi vuoi morta,
dillo!
Su 36 Degrees
il pubblico è chiaramente in stato catatonico perché non vola una mosca: troppi
ormoni nell’aria!
Su For What
It’s Worth fa cantare al pubblico un accorato “To light up your eyes” e si
accende tutto, non solo gli occhi!
Su Nancy Boy
perdiamo l’ennesima corda della povera Bitch, e il nostro pare trovare la cosa
particolarmente divertente. E voi lo sapete tutti qual è l’effetto che provoca
la risatina Molkiana, vero?
Ma è su Infra-red
che il mio cantante dà il meglio: ansima come un asmatico in astinenza da
Ventolin, perde un plettro per la foga, omaggia le mie adorate Bangles
camminando come un piccolo faraone, si produce in una mossa ninja che
maledizione al cavallo rinforzato di quei pantaloni!
Ma io posso volere di più? Sì, una setlist e tanti auguri di buon
compleanno. No, non da Brian, fermiamo subito gli entusiasmi! Ma dalla sua
tata, e mi pare già una cosa incredibile. E tu, che hai fatto la spia, sappi
che ti adoro!
Ingredienti:
1 sorriso di Brian Molko
1 cenno di Brian Molko
10 ansimi
22 leccate di microfono
1 mossa alla Walk Like an Egyptian
10 gocce di morfina
1 analgesico
1 transenna
1 scaletta (meglio se con
chewing gum incorporato)
2 o più amiche intorno
Procedimento:
Buttate tutto alla rinfusa
nel calderone portatile che avete sempre con voi (Hogwart docet), agitate (non
mescolate) e tracannate tutto in un sorso. L’effetto fisico svanisce dopo circa
4 ore, quello mentale mai]
Esco zoppicante ma felice.
Per fortuna fa freddo e si sa che la bassa temperatura anestetizza! Non so cosa
dirò alla mia genitrice per giustificare questo piccolo infortunio: forse devo
solo pregare. A conclusione della serata ci sono anche i fuochi d’artificio (grazie, ma non dovevate disturbarvi!) e sento
che, alla fine, compiere 44 anni (anche se su un piede solo) non è poi così
male.
A riprova tuttavia del fatto
che il sorriso di Brian Molko è un ottimo placebo ma non ha poteri taumaturgici
e in barba a chi ha detto che stavo esagerando (perché certo, suscitare pietà
nel mio cantante è esattamente lo scopo della mia esistenza…), la diagnosi
definitiva dell’infortunio da concerto recitava suppergiù cosi:
- lesione subtotale del gemello mediale sinistro (tradotto: un muscolo rotto)
- fermo totale per 40 giorni (tradotto: vacanze saltate)
- fasciatura e calza contenitiva (tradotto: era agosto e faceva un caldo porco, fate voi)
- stampelle per 45 giorni (tradotto: ho la casa su due piani, grazie per la collaborazione)
- eparina per 40 giorni (tradotto: no, non posso tradurre le imprecazioni)
- fisioterapia tutti i giorni fino al 4 ottobre (tradotto: l’universo evidentemente non era ancora appagato da tutto il resto)
- prognosi per guarigione definitiva: 3 mesi (tradotto: certo che per essere una che finge, l’ho fatto davvero alla grande)
Mi pare di poter affermare
senza timore di smentita che no, non stavo esagerando. Ah, tra l’altro posso
annoverare tra tutte le mie fobie anche quella per gli aghi e non avrei proprio
voluto spararmi 40 iniezioni in pancia, nemmeno
per Brian Molko.
Detto ciò, tutto passa e, se
Dio vuole, passa in tempo per Edimburgo.
#fingerscrossed
#seeyouinedinburgh
#besttocome
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