Nîmes –18 luglio
Il tuo unico dovere è
salvare i tuoi sogni
[Amedeo Modigliani]
(ovvero di quando pensi di
sfoggiare un atteggiamento bohémien per affrontare una data francese che hai
comprato in un momento di scarsissima lucidità e ti trovi a prendere il sole in
bermuda e canotta su una spiaggia che dista dal mare suppergiù 80 km)
Sulla carta la trasferta a Nîmes
sembrava una cosa semplice.
- - recupero
compagne di follia in un paio di agriturismi;
- - rilassante
viaggio fino a Torino;
- - abbandono
dell’auto in luogo protetto;
- - comodo trasporto
su Flixbus di 7,30 ore;
- - raggiungimento
dell’hotel prima di cena;
- - sonno
ristoratore:
- - concerto
Sembrava, appunto.
Trangugio 4 pastiglie a base
di passiflora, biancospino e valeriana sperando affievoliscano un po’ il mio terrore
per la strada circondata dai burroni e mi metto alla guida. Qualcosa
chiaramente non va per il verso giusto perché a un certo punto realizzo di
essermi inequivocabilmente persa in mezzo a questi colli infernali. PERSA.
SOLA. CIRCONDATA DAI PRECIPIZI. Comincio a iperventilare, ogni volta che mi
arriva un messaggio “Stai arrivando? Tutto bene?” caccio un urlo, ma è quando
mi trovo incastrata a Novello (NO, NON LO SO PERCHÉ!) in cima a una salita che
ha una pendenza dell’890 per cento che veramente tocco il fondo e comincio a
piangere. Ma a piangere disperatamente. Con dei lacrimoni che al confronto un
bambino al primo giorno di asilo è l’anima della festa. Mentre scendo in questa
bocca satanica ripeto incessantemente: PASSIFLORADIMERDA,
PASSIFLORADIMERDA…
Grazie a non so quale aiuto
divino, riesco a perdermi ancora solo due volte e ad avere solo un attacco di
panico in concomitanza con un’inversione di marcia in conseguenza della quale
mi vedevo già distesa su un bel lettino di acciaio. La realtà è che quando
riesco a recuperare tutte le altre, sono un fascio di nervi, i capelli ritti in
testa, lo sguardo stravolto che porta ancora le tracce del terrore puro. Per
questo, con sicumera, affermo che: “La prossima volta che organizzano un
concerto in un posto del genere io giuro che non… Giuro che noleggio auto e
conducente, ecco!”
E a tutte le persone di buon
cuore che mi hanno scritto dicendomi: “Mi sembra di averti incrociata! Ma lo
sai che eri contromano?” sappiate che lo so che ero contromano, ma un frontale
mi sembrava per preferibile allo schiantarmi sulle vigne con distruzione della
macchina e rimborso dei danni ai produttori locali per il mancato raccolto.
Insomma, dopo essere
arrivate a Torino, aver abbandonato la macchina, aver preso la metropolitana,
aver vagato come due turiste abbandonate in mezzo al deserto per trovare il
parcheggio degli autobus, finalmente individuiamo il nostro mezzo di trasporto
e io, francamente, non vedo l’ora di spiaggiarmi su un sedile E dormire profondamente per le
prossime sette ore e mezza.
E invece no…
Questo benedetto Flixbus non
è affatto pieno, ma i preesistenti avventori lo hanno colonizzato come fosse di
loro proprietà e così ogni singolo passeggero occupa due posti per potersi più
agevolmente distendere. Chiaramente a noi non resta altro da fare che stringerci
in un sedile studiato per i Lillipuziani, cercando di sostenerci la testa
vicendevolmente.
In aggiunta a questa scomodità conclamata, c’è
l’aggravante che la ragazza di fianco a noi è evidente astinenza da acqua&sapone
da diverso tempo, tanto non riesco nemmeno a capire se è avvolta in un sacco a
pelo oppure in un sacco dell’immondizia perché, ve lo assicuro, l’odore che
riesce a emanare è pari a quello di una discarica a cielo aperto.
Naturalmente se all’esiguo
spazio e alla puzza prorompente si possono trovare dei rimedi, c’è un ulteriore
elemento di disagio che non è assolutamente combattibile. Mentre fuori, infatti, siamo a fine luglio
con una temperatura che staziona sui 38°, all’interno dell’autobus potrebbe
agevolmente trovare dimora un pinguino dell’Alaska con tutta la sua famiglia.
Naturalmente indossare tre magliette di cotone a maniche
corte non allevia minimamente il gelo e l’abbronzatura così faticosamente
guadagnata sotto il sole cocente di Barolo sta pericolosamente virando verso un
cianotico blu che, francamente, non mi dona affatto.
Dopo circa quattro ore
finalmente si palesa il miraggio di un autogrill e io prego tutti i santi e
quelli che ancora lo devono diventare di riuscire a recuperare qualcosa che mi dia
un minimo di calore. Naturalmente essendo luglio anche l’autogrill è
particolarmente sfornito per quanto riguarda il vestiario invernale sicché, in
un momento di disperazione, acquisto l’unico capo dotato di maniche lunghe: un maglione
peloso, bianco, taglia L, che mi arriva alle ginocchia ed è fatto di uno strano
materiale che potrebbe provocare a scelta un’autocombustione spontanea o una
reazione elettromagnetica. Grazie
tuttavia a questo pregevole manufatto, che sicuramente viene dai fondi di
magazzino di un qualche sperduto negozio Tutto a 1 Euro, riesco ad arrivare a Nîmes
senza principio di congelamento.
Chiaramente, appena
scendiamo dall’autobus ci sono di nuovo 38° e siamo, di nuovo, sperdute nel
nulla. Grazie all’universale linguaggio dei gesti riusciamo a comunicare con
delle gentilissime donne musulmane che hanno almeno 12 pargoli a testa al
seguito e, un po’ alla viva il parroco, saliamo su un tram senza avere esattamente
idea né della direzione né di dove scendere. Per fortuna l’Arena è facilmente
riconoscibile, tuttavia, complice un navigatore che ha completamente perso la
trebisonda probabilmente a causa degli sbalzi di temperatura e il mio notorio
senso dell’orientamento ereditato direttamente da un lombrico ubriaco,
riusciamo a vagare per un’ora per percorrere
100 m prima di arrivare a destinazione. L’albergo ha la struttura semplice di un labirinto e per fortuna alla fine, invece di incontrare il Minotauro
troviamo la nostra stanza che naturalmente ha la maniglia che non funziona tanto
che, per aprire la porta, serve un Alohomora a ben assestato e una notevole
forza bruta.
Quando ho prenotato
l’albergo, ho scelto quello più vicina alla venue per evidenti ragioni di
comodità, tuttavia non pensavo fosse “così” vicino: abbiamo la stanza che dà
praticamente sull’entrata dell’Arena e siccome stasera c’è in programma il
concerto degli Scorpions l’impressione
è quella di avere la band che ti suona i piedi del letto. È chiaro che di
dormire non se ne parla e quindi decidiamo di scendere e fare un giro di
esplorazione per capire esattamente come funzionano le entrate dell’Arena. Con
queste innocenti premesse non potevamo certo immaginare che si sarebbe
scatenato un effetto domino di
proporzioni epocali!
Cominciamo a vagare con la
solita espressione del turista fai-da-te che non sa esattamente dove si trova, tentando
di esplorare i possibili pertugi che potrebbero farci confluire l’indomani
nell’Arena. Decidiamo stoltamente di chiedere informazioni ai ragazzi della
security che stanno aspettando la fine del concerto degli Scorpions e lì ci
scontriamo con il primo vero grosso problema: nessuno parla inglese o una
lingua anche solo vagamente comprensibile. Eppure ci sembra di chiedere delle
informazioni semplici, per esempio dove si trova l’entrata (e vi assicuro che
la parola entrata è abbastanza comprensibile in tutte le lingue conosciute).
Dai primi tre punti di controllo ricaviamo delle interessanti e utili
informazioni: sì, domani sera c’è un concerto e sì, comincia alle nove. OTTIMO, PER LO MENO SIAMO NEL POSTO GIUSTO!
Gli ultimi due interrogati sono due ragazzi arabi che non solo non parlano
inglese, ma ci guardano come per accertarsi che facciamo parte della razza
umana. Pur non capendo una mazza fionda, sono molto gentili e decidono di
chiamare in aiuto tre tizi della polizia (o meglio, gendarmerie) per provare a darci una mano, i quali ci annunciano
che ci scorteranno dall’“esperto”.
Ricordo a tutti che avevamo semplicemente chiesto
dove si trovasse l’entrata e come sarebbero state organizzate le code.
Durante il cammino verso il
fantomatico “esperto” recuperiamo altri due poliziotti: in buona sostanza, per ottenere
delle semplici informazioni sull’organizzazione dell’Arena abbiamo al momento
mobilitato 3 ragazzi della security, 2 tizi di un non meglio identificato staff
e ben 5 poliziotti. I casi sono due: o a Nîmes hanno un tasso di criminalità
veramente molto alto oppure hanno del personale in esubero.
Finalmente arriviamo al
cospetto del guru dell’Arena: un
distinto signore sui sessant’anni che, dopo aver ascoltato le nostre richieste,
annuisce vigorosamente e comincia a smanettare sul cellulare. Dopo qualche
minuto si volta e ci dice di avere pazienza perché purtroppo la connessione
Internet è piuttosto lenta. E io comincio a guardarlo con sospetto: che cosa
starà mai cercando su Internet? Dopo un’attesa che pare interminabile,
finalmente si voltano tutti quanti verso di noi e con fierezza e orgoglio ci
mostrano la schermata di uno smartphone. Con una buona dose di
autocompiacimento ci annunciano che sì, per il giorno successivo è previsto un
concerto e la band che si esibirà si chiama Placebo e lo spettacolo comincerà
alle 21.00. Ci sono ancora biglietti disponibili e questo è il prezzo. MOLTO BENE! Con una calma derivante
probabilmente ancora dalle quattro pastiglie di passiflora ingurgitate la
mattina, spiego loro che abbiamo già i biglietti e in realtà avevamo bisogno di
sapere tutt’altro. Ci guardano, si guardano fra di loro, parlottano e infine
tutti e 8 (2 uomini dello staff, 5 poliziotti, 1 guru dell’arena) ci conducono
da un ulteriore non meglio identificato personaggio che però, a quanto pare, è
l’unico che parla inglese. In una sorta di pellegrinaggio arriviamo a un altro punto
della security. Il nostro soggetto poliglotta tuttavia pare non esserci, “Ma
non vi preoccupate, ora lo troviamo” (segno evidente che abbiamo scartavetrato
le parti intime di tutti in maniera particolarmente efficace) e il poveretto
arriva con ancora in bocca un hamburger e una coca-cola in mano: ottimo, abbiamo
disturbato la cena dell’unica persona che detiene le risposte e chiaramente
questo non ci mette in buona luce. Per fortuna il ragazzo, oltre che belloccio,
pare anche molto gentile e sommariamente ci spiega quello che vogliamo sapere.
In un momento di curiosità kamikaze decido di informarmi anche sull’ubicazione
del palco rispetto all’entrata. C’è da dire che sono un po’ frastornata da
tutto questo andirivieni e da quest’essere sballottata per vari punti della
piazza e quindi, a un certo punto, guardo la mia socia e devo dire con un tono
di voce leggermente isterico, le chiedo: “Come cazzo si dice parterre in
inglese?” Il tizio ci guarda e, con l’arguzia di un segugio, ci dice,
sfoggiando un inequivocabile accento lombardo: “Ma siete italiane!” Giuro, non
avrei potuto essere più felice nemmeno se avessi incontrato per la prima volta una
ipotetica sorella gemella da cui mi hanno separata nella culla. Chiaramente da lì in poi è tutto molto più
semplice e nel giro di cinque minuti rimediamo tutte le informazioni che
vogliamo, un suggerimento strategico su dove posizionarsi il giorno seguente
(allora, dovete andare dritto, entrare, poi girare subito sinistra, andare fino
al bar, girare subito a destra, scendere
le scale e correre dritto davanti a voi. Fai
una giravolta, falla un’altra volta! Ma santo cielo, sarà così difficile
fare un’entrata dritta verso il palco?) e anche l’offerta di un panino. In
realtà il nostro principale pensiero in questo momento è come ritornare in
albergo visto che ci hanno praticamente coinvolto in una sorta di moscacieca
per più di un’ora. Sempre con lo spiccato senso dell’orientamento che ci
contraddistingue, facciamo il giro dell’Arena ben due volte prima di renderci
conto che il nostro albergo era… esattamente alle nostre spalle. Alla fine stremate, ci accasciamo sulle sedie
di un locale all’aperto e ceniamo avendo come sottofondo la musica degli Scorpions,
dal vivo. Tutto questo ha un che di
poetico soprattutto considerato il fatto che di questa band io conosco
praticamente solo la canzone Wind of change e continuo tra l’altro confonderla
con Still Loving You. Non credo che il mio cantante sarebbe orgoglioso di me…
La mattina dopo quando scendiamo verso le 8.30 c’è già un bel gruppetto di fan che aspetta l’apertura delle porte e, soprattutto, la piazza è già bollente tanto che se uno volesse bacon con le uova potrebbe cuocerle direttamente sul suolo. Naturalmente le facce sono tutte note: alcune molto belle, di quelle che sempre un piacere rivedere perché non ti stancheresti mai di abbracciarle, altre (per fortuna poche) molto meno. Dopo un paio d’ore, realizziamo che è arrivato il momento di fare acquisti perché praticamente siamo in spiaggia e non siamo minimamente attrezzate. Sicché dopo un breve sopralluogo torniamo vittoriose e orgogliose proprietarie di un ombrellone, unico riparo accettabile dal sole cocente.
Dopo inspiegabili furti di
arance (che, ve lo dico con il cuore in mano, rubare il cibo è una cattiveria a
prescindere. Ma rubare il cibo a una persona che sta ore sotto al sole per
andare a vedere i Placebo è crudeltà pura), una guerra persa in partenza con il
vento e chili di crema solare consumati, dopo aver visto un tizio sospetto che
si aggira riprende il disagio della piazza con videocamera e cavalletto (tizio
che peraltro mi sembra di aver già visto da qualche parte), finalmente è ora di
entrare e chiaramente è anche l’ora dell’ennesimo dramma. I tizi della security
sono tutti molto amichevoli (e no, non c’è il ragazzo italiano della sera
precedente, purtroppo) però c’è un signore che può vantare una moglie calabrese
e naturalmente non può evitare di raccontarci tutta la sua storia. E c’è un
ragazzo che, con molto autocompiacimento, ci mostra un filmato girato durante
il sound check pomeridiano, per una volta fatto effettivamente dei nostri.
Chiaramente il tizio non sa che avrebbe potuto essere l’ultima cosa che filmava
in tutta la sua vita. Anche qui, come in molti altri paesi c’è la separazione uomini/donne
per la perquisizione (come se, in questo momento, mi importasse qualcosa di
essere palpeggiata da un maschio o da una femmina…) Sono tutti pronti,
indossano già i loro guantini da palpeggiatori. Tutti tranne la tizia che deve
occuparsi di noi, ovviamente. In maniera molto gentile, ma con anche un po’ in
apprensione la mia socia maga dell’organizzazione, fa notare questa cosa al
portatore di moglie italiana e al video amatore aspirante suicida, i quali ci
rassicurano dicendo che la loro collega è in assoluto la più veloce e ed
efficiente fra tutti loro. Nel momento stesso in cui sento queste parole, mi
appare chiaro che la tragedia dietro l’angolo. E, infatti, alla tizia cade un
guanto. CADE UN GUANTO! Il tempo di accorgersene, raccoglierlo, infilarselo e
la mia socia l’ha già scavalcata ed è già all’ingresso...
Questa sera la band di
apertura sono i Talisco. Per loro solo una parola: bravissimi. In un attimo ci troviamo a
ballare, cantare e battere le mani come se non ci fosse un domani, lui ha una
carica pazzesca e riesce a coinvolgere talmente tanto il pubblico che, anche se
non sappiamo una sola parola e non conosciamo una sola canzone, non possiamo
fare a meno ti scatenarci.
Se continua così, temo che
per quando saliranno sul palco i Placebo non avrò più nemmeno la forza di
intonare le prime note di Pure Morning.
L’unico mio rammarico è
quello di non aver fatto nemmeno una foto perché il cantante oggettivamente merita,
anche se io preferisco il batterista (ma si sa che io ho un’insana passione per
i batteristi). Siamo entusiaste, e non soltanto perché una delle nostre ragazze
è praticamente la loro fan numero uno e quando lui la riconosce, le fa un cenno
e la ringrazia, ci si riempie il cuore d’orgoglio, ma perché sono
oggettivamente molto bravi e se non li conoscete vi consiglio di cercarli su
spotify:
Poi, tocca i nostri. E, per
non so quale intuizione divina, capiamo subito che questa sarà una serata da
ricordare.
Il palco, a differenza di
come appariva dalle foto, è addirittura troppo vicino e il rischio figura di
merda non è più un’ipotesi ma una solida realtà.
Se il Brian che avevo visto
due sere prima a Barolo mi sembrava già in uno stato di grazia, quello che mi
trovo davanti stasera mi fa seriamente pensare il mio cantante abbia un sosia
più sorridente, più coinvolgente, più allegro e, in definitiva anche molto più
sexy. A metà di Pure Morning ci assale il fondato sospetto che quello che stanno
spruzzando nell’aria non è fumo di scena ma un potentissimo e micidiale mix di
ferormoni e testosterone.
Brandon, al solito, srotola chilometri di filo, il suo posto di valletto delle
chitarre è ricoperto per insondabili motivi da Mick, gli innumerevoli problemi con il suono e la
pedaliera fanno sfoderare a Brian tutto il suo campionario più fornito di facce
buffe: dal paperotto. Imbronciato, al ranocchio stupito passando agevolmente
attraverso il pavone fintamente scocciato.
È uno scenario di condivisione particolarmente divertente e con una
punta di familiarità condivisa da tutti, che mi fa subito dimenticare il fatto
che, per l’ennesima volta, il mio cantante sia salito sul palco con la divisa
estiva da controllore ATM.
Sempre durante Pure Morning assistiamo altresì a una
performance degna delle Olimpiadi nella disciplina “salto della transenna” e, incredibilmente,
l’atleta in questione non è un fan
particolarmente esuberante. Infatti, per motivi ignoti, il nostro Brandon
improvvisamente salta giù dal palco, si arrampica sulla transenna di fianco me
gettandosi di sotto e fendendo la folla come Frodo Baggins inseguito da Sauron
in persona. Se sia stato un innamoramento irresistibile per qualcuno o un
problema di natura tecnica, non lo sapremo mai, così come continueremo a
ignorare come abbia fatto il suddetto Brandon a rimaterializzarsi sul palco
esattamente 5 minuti dopo.
Su Loud
Like Love il felice sconcerto raggiunge vette mai toccate in precedenza: il
mio cantante balla, salta, ammicca, maltratta chitarre con un’enfasi mai viste
prima e a un certo punto inanella una sequenza di 8 Breathe al ritmo di 1200 battiti al secondo, roba da sputare un
polmone con tutti bronchi. (La canzone si chiude con un LAAAAAAAAAVVVV
strascicato e una leccata al microfono)
Special Needs è all’insegna dei contrasti: da un “wheels"
strascicato a uno “screams" che lo fa
arricciare come una crinolina e ci fa sobbalzare sul posto. Ah, “dreams" diventa un non meglio
specificato DRIHIIM… Nel frattempo un
temerario ragazzo della security tenta di scattare una foto a Brian a distanza
più che ravvicinata, tant’è vero che il povero Billy, dopo averlo adeguatamente
redarguito, ci guarda scuotendo sconsolato la testa come dire “Questo sculetta
sul palco e così ora io non solo devo tenere a bada i fan, pure quelli della
security mi mettono i bastoni fra le ruote. (La canzone si conclude con una
molteplice sculacciata alla chitarra)
Attendo la performance di Devil in the Details con malcelato timore: visto come sta andando lo show non so francamente che cosa aspettarmi anche perché, a un certo punto, il mio cantante si percuote talmente forte petto che penso voglio trasformarsi in un novello Mini-HUlk e strapparsi la camicia di dosso. (Sia chiaro, nessuno lo fermerebbe!) In realtà non assistiamo a nessuna ravanata ma se possibile avviene ben di peggio: Brian indica distintamente qualcuno nel pubblico. Non so chi sia il fortunato o la fortunata, ma dopo poco sento distintamente uno schianto alle mie spalle ed è chiaro che il poveretto/a non ce l’ha fatta. Il massimo della tensione interpretativa si raggiunge quando sull’ultimo “stay” il dolce forno Harbert raggiunge il massimo della sua apertura tanto che credo che anche i proprietari dell’albergo di fronte abbiano visto quelle stesse tonsille che tanto scalpore creeranno qualche settimana più tardi. (La canzone si conclude con un “fight” talmente potente che mi arriva una cilappata direttamente in un occhio. Ops, scusate, vengo dolcemente colpita dalla sacra secrezione delle ghiandole salivari: quanta gioia!)
Su Twenty Years cominciano a consumarsi delle vere e proprie tragedie,
oltre al fatto che il microfono per essersi abbassato di almeno 5 centimetri.
L’assunzione della posa alla Quasimodo evidentemente galvanizza il nostro, che
ammicca ancora più del solito, indica persone a caso di cui naturalmente non
sentiremo mai più parlare e che probabilmente non rivedranno mai più le loro
famiglie, sculetta con le spalle (sì, è possibile) ma soprattutto lancia
sorrisi che hanno la stessa potenza distruttiva delle tette di Venus. E, giusto
per essere sicuro di non lasciare superstiti, si avvicina anche per farlo
(vedere per credere). (La canzone si conclude con un inchino particolarmente
profondo e ostensione delle sacre terga)
Exit Wounds
e 36 Degrees credo che andrebbero
ormai ufficialmente archiviate come armi di distruzione di massa. La prima, meno
recitata e sicuramente molto più intensa rispetto al solito, lascia sul campo
uno stordimento collettivo mentre la seconda, soprattutto l’ultimo asimatissimo
“Shoulders toes and knees, I'm dirty sex” è sicuramente responsabile nel picco di nascite
che si verificherà suppergiù ad aprile 2018. (Entrambi le canzoni si concludono
con due potenti leccate al microfono)
Ma è su Special K che il dramma vero prende forma. Con la coda dello vedo
un losco figuro che si aggira sul palco armato videocamera. Finora non ci avevo
assolutamente fatto caso, ma è evidente che allora davvero stanno riprendendo
lo show. Riconosco distintamente il buon Charlie
Targett-Adams (già responsabile dell’attesissimo documentario
Placebo: Alt.Russia, a breve in onda su Netflix e la cui seconda parte,
Placebo: Alt.Vimercate è già in lavorazione) e in quel momento realizzo che la
figura di merda potrebbe essere di portata mondiale. Eppure pensate che questo abbia potuto
qualche modo fermarci? Assolutamente no, il nostro cantante stasera è in grado
di farci dimenticare nome e cognome anche dei parenti più prossimi, figuriamoci
se la consapevolezza di venire immortalate in qualcosa che ci farà vergognare
di noi stesse fino alla settima generazione riesce a riportarci con i piedi per
terra. Di certo realizziamo che i cinque minuti di imbarazzo preventivo non
sono stati assolutamente sufficienti.
Arriviamo a The Bitter End e io sono francamente
stremata, certo molto felice, ma fisicamente ormonalmente e mentalmente
distrutta. Qui l’esordio è una dichiarazione di guerra, un abbraccio alla
chitarra per la “comfort zone”, una “carezza” al manico della suddetta
fortunatissima chitarra che non lascia nulla all’immaginazione. Insomma, ho
decisamente bisogno di una pausa. (La canzone si conclude con un “end” ansimato e leccata di microfono
come da manuale)
Nemmeno il tempo di
riprendersi ed è subito tempo di ricominciare. Appena il mio cantante ritorna
sul palco vedo distintamente San Pietro avanzare verso di me con il suo mazzo
di chiavi e dirmi: “Tieni bambina, questo e il tuo paradiso personale!”: Brian
Molko si è cambiato la camicia. Le probabilità che quest’evento si verificasse
sono pari a quelle di vedere il conte Vlad direttore dell’Avis.
In un attimo si arriva a Running e di conseguenza sappiamo che
manca veramente poco alla fine. Ma per la prima volta non vivo questo momento
con dispiacere ma come il coronamento di uno spettacolo perfetto sotto
tutti I punti di vista. Mi aspetto di
vederlo entrare, battendo le mani nello solito stile foca con la bocca a culo
di gallina che gli viene tanto bene.
E invece no…
Brian risale sul palco
armato di quella che sembra essere una videocamera analogica particolarmente
vintage con cui riprende il pubblico. Io pensavo di averle viste davvero tutte,
perché se qualcuno, un giorno, mi avesse detto che sarei finita in un filmato
girato da Brian Molko, l’avrei preso per pazzo e gli avrei allungato il nome di
un bravo psichiatra. Peraltro ringrazio
tutte le divinità conosciute e non, per avermi dato un rarissimo momento di
lucidità di avermi impedito di fare delle facce completamente dementi. Forse lo
sguardo non era dei più intelligenti ma perlomeno sono riuscita a conservare
una parvenza di normalità mascherando una sorta di apocalisse interiore con un
lieve sorriso imbarazzato.
Ora, a parte canzoni che
hanno meritato una menzione speciale, in realtà credo aver assistito a Nîmes allo
show migliore di tutto il tour. Oltre al fatto che la domanda: perché non sono
nata microfono o chitarra? mi tormenterà per tutto il resto della mia esistenza,
esco dall’Arena con la consapevolezza di aver assistito a un concerto
memorabile e mi basta guardare negli occhi I miei compagni di avventura per
capire che questa volta non è un’impressione soltanto mia. Non dimentico certo
che Brian è anche un grande attore e quindi Buona parte della giovialità,
dell’empatia, dell’energia e dell’allegria mostrateci questa sera erano a uso e
consumo delle riprese che sono state fatte. Perché è chiaro che se stai
realizzando un video che farà parte, spero, di un eventuale DVD cerchi di dare
il massimo (e mi dispiace davvero di aver rovinato buona parte delle scene) ma
se questo è il risultato, be’ ragazzi, facciamo in modo di riprendere tutti
concerti!
Il giorno dopo, ripartiamo
alla volta di Torino su un autobus che se possibile ha i sedili ancora più
stretti rispetto a quello dell'andata e puzza pericolosamente di pescheria ma noi
siamo in uno stato di estasi tale che ci sembra di viaggiare sulla carrozza di Cenerentola.
Sto lentamente
metabolizzando il ritorno alla realtà quando improvvisamente mi arriva un
messaggio, segno che il best to come
di inizio tour è stato veramente profetico: “Ti ricordi quell’intervista che ti
avevo proposto sul tuo blog? Ecco sei pronta?”
Per chi se la fosse persa, è
chiaro che non incontrerò mai Brian Molko, ma per lo meno ho avuto la
possibilità di parlarne su sorrisi.it:
#besttocome
#davvero?
#seeyouincolmar
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